Sono triste cosa posso fare? Consolati, lo siamo tutti
Sono triste cosa posso fare? Ammettilo e non nasconderlo. Spesso ci si sente soffocare dalle emozioni, questo accade perché le reprimiamo. Fare i conti con la propria vita interiore non è per niente facile, oggi. Quanto abbiamo paura delle nostre emozioni? Cassie Holland, 29 anni, dedica all’articolata interiorità femminile una collezione di “maglioni-verità“. Su ogni maglione, infatti, le scritte parlano al negativo.
Ansia, malinconia, buongiorno tristezza. Pochi pezzi per distruggere il “tabù” delle “emozioni pericolose“. Emozioni germogliate nell’epoca dell’incertezza e della precarietà.
Sono triste cosa posso fare? Non devi sentirti in colpa o inadeguata
Ma poi, chi l’ha detto che bisogna farsi vedere felici? Felici a tutti i costi. Perché a ben vedere, non c’è niente che di più dispendioso del vendersi come personaggi favolosi e ça va sans dire FELICISSIMI.
Interno VS esterno, il problema è sempre lì e, intanto, la gente si ammala per davvero
Ma non è colpa loro! FOMO è una malattia seria, anche se in Italia se ne parla ancora poco (chissà perché)
Si chiama FOMO (“Fear Of Missing Out”) ed è la paura di essere tagliati fuori. È la malattia del nostro secolo ossessionato dalle comunicazioni: il pensiero costante che gli altri stiano facendo qualcosa di più interessante di quello che stiamo facendo noi. E che ci stiamo perdendo qualcosa.*
Quello del gap tra interno ed esterno è un disagio tipico della nostra epoca post-social network. Entriamo e usciamo dal virtuale con una facilità e velocità tali, che diventa sempre più difficile rimanere attaccati alla nostra esistenza. Si sperimenta quotidianamente l‘essere e il non essere, con il pericolo di scivolare verso una rottura sempre più incolmabile tra il nostro apparire e la realtà delle cose.
Perché l’apparire viene prima dell’essere. E naturalmente è la società ad imporci come e cosa dobbiamo fare
Essere felici, ma non per noi stessi, per gli altri.
Questo è il paradosso più grottesco del nuovo millennio.
Se, infatti, la debolezza nel suo senso più umano del termine, quindi, intesa come spiccata sensibilità, come pudore, riflessività e sensatezza, diventasse un qualcosa da mostrare senza vergogna si vivrebbe meglio. Purtroppo, però, non in questa società. La società del benessere in cui viviamo è senza scrupoli, poiché orientata al risultato. Un risultato che ammette di buon grado l’amoralità ghettizzando e additando come limiti impossibilitanti emozioni, che non siano prettamente coerenti con l’imperativo del successo e della realizzazione materiale.
Le emozioni imposte oggi hanno tinte sgargianti, sature, senza sfumature
Eppure non è sempre stato così, basta pensare ai più famosi artisti o a filosofi e poeti, che senza aver fatto i conti con i loro “demoni” interiori, con il loro “umor nero”, molto probabilmente, non avrebbero creato nulla di imperituro.
Se Baudelaire, Proust ,Hegel, Nietzsche, Wittgenstein e compagnia vivessero oggi sarebbero degli sfigati, dei perdenti.
Far vedere i proprio limiti le proprie angustie è fuori moda, anzi non è concepibile. L‘introspezione è qualcosa da evitare. E mentre la rifuggiamo come la peste, diventiamo più idioti.
Che faccia ha la debolezza? Il volto della vergogna
Anche se gli studi più recenti hanno accertato che i malesseri dello spirito interessano per lo più soggetti profondi e intelligenti. Ma allora, perché dannarsi nel farsi vedere favolosi, quando la felicità incondizionata è un qualcosa di insensato, se non stupido?
Perché qualcuno ci ha convinti che il benessere sia la norma, non l’eccezione.
Trascinati dalla velocità, si preferisce occultare i lati più oscuri dell’anima, senza curarli, senza analizzarli, senza riconoscerli. Eppure fanno parte di noi, da sempre.
Sarà anche colpa dell’oscuro potere consegnato al visivo
Troppo visivo, il peso dato all’immagine è fuori controllo. Tutto viene proiettato all’esterno, perché per sopravvivere si deve apparire “al meglio”. Una costrizione che non abbiamo scelto, ci è stata imposta. Così, mentre ci preoccupiamo di essere “TOP”, l’economia farmaceutica (il più grande business mondiale) gioisce, ma non solo quella. E’ stato accertato dai ricercatori della Carnegie Mellon University, che la tristezza innesca il desiderio di cambiare lo stato delle cose, inducendo ad acquistare nuovi beni di consumo.
La moda ci conosce meglio dello psicanalista. Per vendere si offre come cura
Per concludere il quadretto della situazione, ci terrei a precisare che uno dei principali motivi per cui oggi la moda (che tanto seguiamo con gli occhi della leggerezza) insiste nell’immettere sul mercato capi oversized, felponi e jeans non è tanto da ricondurre alla volontà di rendere la donna più sfrontata, quanto, piuttosto, di renderla più serena. Questa moda, non è una “moda” sfiziosa, bensì, una sorta di terapia per donne depresse.
Uno studio su 100 donne, condotto nel 2012 da Karen Pine, psicologa presso l’Università di Hertfordshire (UK), suggerisce una forte correlazione tra l’indossare alcuni vestiti e gli stati emotivi.
Secondo gli autori, le donne che sono depresse o tristi hanno più probabilità di indossare top larghi, felpe, o jeans.*
Voi come siete vestite oggi?
Bellissimo outfit! Il jeans è davvero bello!
Un bacione,
Mariateresa Scotti
Fashion secrets of a pretty girl
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Che bella riflessione sulla tristezza.
Bellissimo look. Kiss
Nuovo post “Aria di primavera. Stampa camouflage e farfalle” ora su http://www.littlefairyfashion.com
bellissima questa giacca ovesize … bellissimo post!!
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Felice per forza è il motto dei nostri tempi… che già da solo mette tristezza!
Tu come sempre sei splendida, foto strepitose e giaca mravigliosa.
Un bacione! F.
La Civetta Stilosa
Ogg è lunedì, sono reduce da un bellissimo weekend e quindi sono triste!!! Non lo nascondo anzi mi viene quasi da piangere !!!!!
Bacioni
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buona giornata!!
baci
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sarebbe prefetto non dover parlare e lasciarlo fare ad una maglietta…
Lalu
buon mercoledì!!
bacio
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La moda meglio dello psicanalista. Concordo, e tu sei strepitosa. Bellissimi i capelli così. Baci
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