Il New York Times attacca la moda Italiana e tutti si risentono, ma chi ha torto e chi ragione?
Il New York Times attacca la moda Italiana. Ricorderei al pubblico che ci “ascolta” che l’autorevolezza delle sfilate “Milano Moda Donna” è data dalla presenza in calendario (chissà ancora per quanto) di Gucci, Prada e Fendi, poiché tutti gli altri partecipanti fanno da contorno al filetto come le patatine e il ketchup.
Va bè, per farla breve, tornado alla critica del New York Times, è successo che il “Gabbana“ha sbottato e la cosa è finita nella solita caciara nostrana.
Il New York Times attacca la moda Italiana
Ma il fatto disturbante non è tanto la critica, quanto il CHI l’abbia mossa, dato che a New York farebbero sfilare pure lo zio Tom per riempire i buchi delle defezioni alla vista di Londra e Parigi. Detto questo, la percezione della stampa Americana, non si discosta affatto dalla realtà. Milano è confusione, ridondanza di cliché, distacco dalla la realtà, stasi creativa, insufficienza morale ed etica, insomma, non ci si è fatti mancare niente (tranne rarissime fortunate eccezioni).
D’altronde non sono più gli anni ’50,
dove alla corte del Giorgini buyer e stampa d’Oltreoceano si affrettavano a elogiare i sarti Italiani che proponevano collezioni e tessuti innovativi a prezzi economici per smarcarsi dall’offerta Parigina. No, infatti. Ma neanche sono più quei tempi dove le cose venivano fatte per bene e, soprattutto, per davvero in Italia. E non sono nemmeno gli anni ’60 dei divi Hollywoodiani a Roma e tanto meno gli ’80 dei divi Hollywoodiani vestiti Armani. O i ’90 del made in Italy di Gianni Versace con le sue top.
No, infatti. Questi sono gli anni dell’Insta-felicità, dell’insta-consumo, dell’insta-successo.
Insta-successo che ha procurato la fama a molti marchi e ha tolto desiderabilità ad altri.
Eppure da Milano, a Londra a New York, nessuno si è accorto che la ricetta dell’Insta-popolarità non poteva valere per tutti. Che non poteva essere “tutto”.
E così oggi l’omologazione aumenta, la qualità di contenuti scarseggia e i prezzi dei prodotti del prêt-à-porter sono sempre più inverosimili.
Idee tiepide per consumatori deboli, finché dura
E intanto secondo l’edizione 2017 di “Best Global Brands”, la classifica dei 100 marchi globali a maggiore valore economico realizzata da Interbrand, i marchi di moda e lusso perdono ancora posizioni rispetto all’anno passato.
L’Italia non è periferica, è la moda, ma soprattutto il lusso, che sta diventando qualcosa di periferico rispetto alla vita reale.
Mette male rispecchiarsi nella maggior parte dei marchi di lusso di oggi. Presi dalla boria e dal narcisismo, chi può si culla nel riflesso della solita flebile luce proveniente dalla gloria passata, gli altri scopiazzano i nomi più gettonati, ma entrambe le categorie adottano strategie di comunicazione sempre uguali, banali e pressoché intercambiabili.
Instagram, in questo senso, se da una parte ha avvicinato i marchi alla vita delle persone, ha infastidito le aspettative dei pubblici più selettivi spalmando di inopportuna superficialità e fastidiosa ordinarietà qualsiasi genere di merce.
La verità è che la temperatura di questa ondata di fashion show è stata tiepida
Tiepida come l’importanza del lusso nella vita delle persone normali, che già ingolfate di sfizi accessibili e qualitativamente appaganti sempre di più orientano le loro spese su cibo, viaggi ed esperienze*.
Per un negozio di abbigliamento che chiude ne aprono due di food, non te ne sei accorta?
Immagine copertina via pinterest.com
*https://www.businessoffashion.com/articles/professional/tapping-generation-next
Come non amare i tuoi articoli!
Sei fantastica in questi scatti. Kiss
Nuovo post “TAORMINA: ogni volta un’emozione” ora su http://www.littlefairyfashion.com
sinceramente sono un po’ d’accordo con NYT…
hai top stupendo!