Nostalgia millennials
Società

Nostalgia Millennials: e quindi siamo una generazione patetica?

Nostalgia Millennials: e quindi siamo una generazione patetica?

Nostalgia Millennials. Diciamo la verità, quel compiacimento morboso che si prova andando a rovistare quotidianamente tra i ruderi del secolo scorso sta diventando patologico. Finita (o quasi) la mania/magia degli unicorni, da qualche anno, complici il cinema, una moda sempre più ripetitiva e un abile sfruttamento del marketing della nostalgia, si è realizzato un totale, morboso, preoccupante -perché consenziente- stordimento della popolazione.

Si chiama marketing della nostalgia quella strategia che

aggancia l’attenzione dei Millennials facendogli rivivere i ricordi positivi e le icone del passato, questo, infatti, li farebbe sentire bene.

In an age of impersonal digital media, building social connectedness through nostalgia is an easy way for companies to leverage the optimistic feelings that often accompany walks down memory lane. Associating brand messaging with positive references from the 90s, 80s — and even the 70s — humanizes brands, forging meaningful connections between the past and present.

(Forbes.com)

Il mito di fine secolo

Anni ’70, anni ’80, anni ’90. Non riusciamo a vedere altro che passato, più si allontana, più lo rimpiangiamo. Siamo la prima generazione, che preferisce il passato al presente e pure al futuro. Con Youtube, Instagram e Pinterest, poi, abbiamo la possibilità di collezionare una mole infinita di figurine appartenenti a passati remoti, alcuni nemmeno vissuti.

E così si boicotta il presente, adagiandosi lagnosi e viziosi nell’immoto balsamo del tempo che fu. Patetico, appunto.

Ma perché tutta sta malinconia? In fondo, abbiamo tutto. Sperimentiamo tutti i giorni l’eccezionale velocità dei mezzi di comunicazione istantanei, delle consegne in 24 h., delle serie tv no limits, del lusso a portata di tasca e di mano, dei voli low cost, del cinema a casa nostra, insomma, non ci si è fatti mancare niente, eppure manca sempre qualcosa. Qualcosa di grande, ma che non si dice. Perché sui social la sofferenza è: tabù.

Siamo patetici, sì, ma teneramente, perché, in fondo,

a noi mezzi giovani, nati analogici diventati digitali, ci è stato tolto tutto.

Dopo tanto benessere, ci siamo beccati un’epoca di crisi, di iperrapidità, di ultrainstabilità e di diffidenza estrema verso il prossimo. Ci stiamo disabituando a relazionarci con persone fisiche, usciamo sempre meno di casa, mentre, per compensare il disagio, nelle nostre case c’è di tutto. Le dimore, anche i 50mq diventano un tempio, un fortino che fa da cuscinetto tra più realtà. Dei covi-bunker in cui barricarsi per dimenticare il mondo esterno.

La Repubblica l’altro giorno titolava: “Psicofarmaci, depressione, attacchi di panico: la vita da operaio Amazon per essere veloce“, il fatto è che, a ben vedere, pur con tutte le possibili e sacrosante differenze, in ognuna delle nostre vite aleggia lo spettro dell’esistenza “operaio Amazon”. Certo, in un più lieto (apparentemente), piacevole (sicuramente alla vista degli altri) e magari sofisticato ambiente, ma tutti noi siamo un piccolo riflesso del sistema dittatoriale di stampo Amazon.

La terribile vita dell’operaio Amazon è l’emblema della società contemporanea

E’ la misura di tutto! Ognuno di noi è una piccola ape operaia che si sbatte senza sosta, senza neppure sapere bene cosa deve fare, né perché la sta facendo.

Professionisti del multitasking, esegeti di social post, specialisti della dissimulazione, il lavoro precario ci spinge a pretendere sempre di più da noi stessi, per sopravvivere.

La paura, lo stress e l’ansia da prestazione? Sono robe con cui ormai ci si convive.

E così, l’unica cosa che ci rimane sono i sentimenti

Oggi non ci affezioniamo più a niente, perché tutto viene sostituito nel momento in cui viene mostrato.

Se a mancare è la sicurezza, l’assenza di affezione tipica di questi tempi Instafamelici rende questo mondo ancora più insopportabile.

Il passato, invece, rappresenta qualcosa di “altro” e rassicurante a cui credevamo e appartenevamo, che ci è stato tolto. Proprio come l’infanzia e le infinite possibilità di una vita “normale” di Charles Foster Kane.

Rosebud è andato perduto. Non ci rimane che guardare una palla di neve.

Immagine copertina via pinterest.com



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8 Comments

  1. Ma la bellezza di questo cappotto!!!
    Nuovo post “Look kids per un Natale in giallo” ora su http://www.littlefairyfashion.com

  2. molto particolare questo cappotto … buon inizio settimana!!
    baci

    http://www.unconventionalsecrets.com/

  3. Ti dirò, io la nostalgia del passato non la vivo molto, alla fine mi piace comunque guardare sempre avanti! Ma che spettacolo è questo cappotto??? Non ci credo che è di H&M!!!! Ora vado a vedere, troppo bella!
    Un bacione! F.

    La Civetta Stilosa

  4. Teddy beat coats are must-tries in 2018! This brown outerwear piece ideally matches silken clothes. In love with your silk dress and white pointy pumps. Simple and urban!
    Best,
    Ines

  5. Beautiful post, in love with these images 🙂

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