Chanel e Karl Lagerfeld. Il sospetto: la Maison ne ha ancora bisogno?
Chanel ha ancora bisogno di Karl? Chanel ha appena presentato la sua Cruise 2018-19 a Parigi. Plauso generale.
Il Grand Palais sotto la direzione creativa di un Karl barbuto e invecchiato tutto insieme, ancora una volta diventa la scenografia perfetta per esagerare.
Per esagerare con il cattivo gusto.
Perché potere è denaro, ma la cosa non ha a che fare né con la bellezza, né con la verità.
Per esagerare, quindi, con la spettacolarizzazione, omaggiando la contemporaneità più ripugnante e opulenta.
immagini da Vogue.com
La mitizzazione della ricchezza ha sostituito qualsiasi intento culturale e con Karl Lagerfeld raggiunge il suo apice
Completini da marinaretta, baschetti, maglioncini logati e qualche silhouette presa dagli archivi anni ’80. Eppure queste costosissime uniformi fanno solo da sfondo all’evento. Nessuno se ne cura. Relegati a ornamento, o meglio, addobbo di un folta schiera di Influencer-modelle, (massima espressione di potenza quanto il Titanic a fianco).
La reiterazione di quella scenografia grandiosa e invadente, come solo Karl sa imbandire per i suoi clienti, poi, la dice lunga sulla pochezza simbolica degli indumenti.
Indumenti che rispecchiano alla perfezione quella tipologia di consumatore di lusso odierno: il parvenu.
La moda è un modello aristocratico, che tende tuttavia a diventare fenomeno di massa, perché viene consumata su giornali ad alta tiratura. Anzi la Moda […] si richiama infatti al modello aristocratico ma al tempo stesso rappresenta l’insieme dei suoi consumatori.
R. Barthes
Non essendoci più l’aristocrazia, quanto piuttosto, un illetterato ceto di spocchiosi ricchi personaggi, sarebbe anche ora che Chanel la smettesse di autopromuoversi con cotanta presunzione, come “eccezione alla regola”.
Il fastidio pruriginoso, infatti, incomincia quando le cosiddette “Maison”storiche, in quanto tali, pretendono di vendere sogni inavvicinabili per colte élite (perpetuando così la sacralità dell’atmosfera originaria), mentre sappiamo benissimo quanto il passato sia stato profanato in nome di una spregiudicata voracità affaristica.
Proprio in nome di questo avido business comprendiamo molto bene che di quella sacralità insita nel manufatto creato dal Couturier non sia rimasto niente, se non una pallida caricatura.
Quello che viene definito prêt-à-porter, infatti, è in gran parte niente di più che mera merce su misura per i media e i consumatori del tempo. Tornando così al fastidio di cui parlavo poco sopra, la sindrome peggiora quando Chanel, vincolata a Monsieur Karl fino alla morte (del secondo) persevera di collezione in collezione nel volerci convincere del contrario.
E a questo punto, comincio a credere che il problema parta dall’ambiziosa, datata, regia: da Karl.
La paura di spezzare il legame con il passato indebolisce. Inesorabilmente
Chanel ha paura di perdere il prestigio accumulato con Karl negli ultimi 30 anni, ecco perché pensa di non potersene disfare. Un contratto a vita con la Maison, poi, sigilla con il sangue il rapporto lavorativo, umano e spirituale del primo con la seconda.
Karl Lagerfeld, in carica dal 1982 e forte di incontestabili successi, rappresenta per l’azienda il trait-d’union strategico con il “paradiso perduto” originale, ovvero, con quella che fu la Maison creata da Mademoiselle.
“Tutti dicevano: ‘Non toccarlo, è morto, non tornerà mai più’. Ma a quel punto ho pensato che fosse una sfida”.
Su Maison Chanel dopo la morte di Mademoiselle
Peccato che, nonostante nessuno abbia il coraggio di ammetterlo, il suo punto di vista, seppur ricolmo di genio, sregolatezza ed esperienza, al momento, è insopportabile. Negli ultimi 10 anni le ha provate davvero tutte. Tutte intuizioni interessanti che davano libero sfogo alle sue più estreme manie di grandezza, ma che oggi appaiono di una pesantezza e una ricorsività inopportune.
E’ finito il tempo degli effetti speciali alla Méliès. Chanel ha bisogno di altro. Di un altro
Chanel ha bisogno di una nuova guida. Di un messia di questi tempi,
di una personalità giovane, che senza forzature e troppi artifici possa sposare la causa di un rinnovamento, possibilmente più sobrio. Possibilmente più “couture“. Questa soluzione dovrà farsi portavoce dei valori (quei pochi rimasti) di questo mondo, lasciando da parte quel genere di moda-intrattenimento volgare e ridanciano legato all’ostentazione.
Karl come Versace (Gianni)
Quirino Conti non ha dubbi, la Moda grossolana, che affascina la nuova aristocrazia fannullona, analfabeta e appariscente inizia con Versace. Versace il “mattatore” che costruiva abiti come campagne pubblicitarie (e viceversa) manovrando dietro munifici compensi personaggi di spicco nei vari settori dello spettacolo. “Un accorto art director-press agent-sceneggiatore-regista-costumista*” fu Gianni e dopo di lui tanti altri. Se si poteva mal sopportare in quegli anni un mago del genere, la cosa oggi diventa intollerabile, a capo di Maison Chanel.
Alcune persone pensano che il lusso sia l’opposto della povertà. Non lo è. È l’opposto della volgarità.
Coco Chanel
-abbi pietà di loro-
*”Mai il mondo saprà. Conversazioni sulla moda“. Q.Conti, 2005, Feltrinelli Editore
Copertina immagine pinterest.com
ph. Ksenia Photo lab
Gabrielle, ovunque tu sia spero che tu non veda e sì, abbi pietà di loro!
Aggiungo Roberto Cavalli degli anni ’90 come involgaritore della moda, alta o bassa che sia.
Te lo dico in toscano “umm’è mai garbato quello là”.
Penso che se oggi la donna si veste per dipenda anche dall’overdose di proposte sempre più spinte che nel corso degli anni hanno trasformato il fascino della sottile seduzione a volgari pacchianate.
Un saluto da Elena, che preferisce Pucci e Coveri a Gucci e Cavalli come conterranei
Manca un pezzo:
… la donna si veste per dipenda anche…
Si vesta per difendersi
Da te c’è sempre da imparare, look fantastico!! E la frase di Chanel è una vera perla di saggezza!!
Un bacione! F.
La Civetta Stilosa
si hai ragione una collezione un po’ deludente
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buon mercoledì!!!
baci
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