Streetwear culture: è roba da mocciosi e ci ha ampiamente rotto le scatole
Streetwear culture: ripuliamo la scena dai “designer” di streetwear
“Diffidate dei poeti vestiti da poeti, delle rose rosse e dei capelli biondi”*
Come dicevo, il mestiere del momento è il designer di moda. In effetti, ad un certo punto della tua carriera se non metti giù un po’ di felpe sbiadite e un paio di sneakers cinesi abbastanza brutte da giustificare il prezzo sopra gli 800 euro, bè, non vali niente.
Si chiama streetwear e sa di dissidenza poiché vanta umili natali, ma adesso fateli smettere
L’uniforme tutta felpe oversize, t-shirt e scarpone nasce come codice anticonformista tra le ghenghe di buontemponi a quattro rotelle. In questo stile svogliato e comodo i cattivi ragazzi dei quartieri periferici ambiscono alla salvaguardia della loro particolare specie distinguendosi da tutto e da tutti. Ma oggi che James Jebbia è ricco sfondato e che Abloh firma persino la cartaigienica, aspettiamo tutti con ansia che anche i mocciosi si stanchino di dilapidare la 13ma dei genitori per le nuove scarpazze Yeezy.
Ebbene sì, lo streetwear ci ha rotto unanimemente le palle, tanto quanto l’hip hop e i rapper (in particolare quelli Italiani)
In nome dello streetwear ( peraltro, come in quello della musica), infatti, si stanno facendo e dicendo le peggiori bestialità, tanto è vero che sotto la sua immensa ala protettiva, oggi, trovano rifugio i più spietati incapaci e i più spericolati, sedicenti artisti.
E così c’è chi fa cioccolata per Starbucks mentre promuove Moncler, c’è chi fa valige e mobili Ikea mentre si appresta ad entrare in Louis Vuitton.
“Il designer, non è più un designer, ma un disturbatore”
Ma in che senso? Se disturbare significa comprarsi la fama rivendendosela come talento, depredare heritage storici, banalizzare e arraffare contratti milionari, siamo d’accordo.
Disturbare alla loro maniera, infatti, non ha niente di politico o anticonformista, piuttosto, significa lasciare tutto com’è, anzi, peggiorarlo.
Con questa affermazione, quindi, il dj e altre cose, Hiroshi Fujiwara (“noto” per aver portato lo streetwear in Giappone negli anni ’90), in un gesto di solidale fratellanza parla della felice collaborazione tra Nike e Abloh, giusto per ricordare all’intervistatore quanto sia figo lui, fresco di contratto con Moncler e quanto sia giusto mettere in mano a dei ” tizi a caso ” dei marchi di moda internazionali.
Magneti di fancazzisti e patrocinatori di luoghi comuni, leggende metropolitane e fanzine, i designer-dj-rapper-producer-guitar arrangers-power rangers and many other fantastic things, sono il male.
Sono il male, perché semplificano idee, mestieri e valori riducendoli a mera pornografia commerciale.
Eppure, rispecchiano perfettamente la coscienza e il gusto “dei più”.
Ma cos’è questo gusto “dei più”?
Con “gusto dei più” intendiamo il senso estetico del folto pubblico di mocciosi di età compresa tra i 12 e i 17 anni, Instagram e Snapchat dipendenti. Si tratta della triste generazione successiva ai Millennials. Quei nati digitali che insultano e minacciano i professori, quelli cresciuti con latte e prozac mentre i genitori provavano il brivido delle chat su Facebook. Gli stessi che, brufoli a parte, hanno un’unica fede: quella riconducibile ai sopracitati “santoni della strada“, che di “povero e ribelle” hanno solo il linguaggio.
Sophie: “Qualche anno fa, prima che lo streetwear iniziasse a piacermi, non avevo molta autostima. Poi ho iniziato a mettermi roba figa per vedere che effetto faceva e ho notato che agli altri piaceva. […] Mi sta aiutando molto a essere più sicura di me”*.
Per Lotta Volkova, nell’industria della moda non esistono più le sottoculture. Per lei, gli adolescenti non hanno nemmeno idea di cosa siano, perché costruirsi un’immagine convincente sui social media è molto più importante di parlare dei propri interessi*.
E smettiamola di dire che tutta questa roba è cultura
la cultura non passa da Instagram, non è popolare, non è mainstream e tanto meno social, quello piuttosto, si chiama consumo. Spettacolarizzazione del consumo, che conduce ad un progressivo sviluppo di un idiotismo specialistico.
Il punk sì, che era rabbiosa controcultura. La Westwood fa cultura prima che moda, ma lei viene da un altro mondo. Un mondo in cui la gente aveva ancora la “cattiva abitudine” di sporcarsi le mani di verità e realtà e non stava a predicare il consumo da dietro uno smartphone appellandosi all’ironico, quanto ambiguo beneficio delle virgolette.
Perché con un po’ di soldi e qualche amicizia importante siamo tutti capaci ad avere talento.
“Tra virgolette”
L’Hype , una fabbrica del consenso
L’incontenibile fame di fama e popolarità sta svuotando completamente il significato di moda e lusso. Per ora, il vero lusso è astenersi completamente dal consumo di questa roba.
*Q. Conti p.123
*https://www.vice.com/it/article/jpd54b/i-quattordicenni-che-spendono-migliaia-di-euro-in-vestiti
… aspettando che passi.
L’ultima riga del tuo post è illuminante e tagliente, perfettamente d’accordo con te su tutto.
Ringrazio il cielo che mio figlio, ormai giovanotto, è sempre stato immune da certi richiami consumistici e comunque mai avremmo sperperato soldi per orrendi capricci.
Saluti da Elena
Mi piace tantissimo il look che indossi.
Nuovo post “Prodotti BIO con Bubble & Co” ora su http://www.littlefairyfashion.com
Sempre look azzeccatissimi, il blazer oversize sulla gonna ampia mi piace molto.
Un bacione! F.
La Civetta Stilosa
adoro i tuoi outfit, sempre al top!!!
baci
http://www.unconventionalsecrets.com/
Premettendo che il link al tuo post mi è stato mandato da mia madre, io sono un ragazzo di 17 anni appassionato di moda e streetwear. Quando ho letto per la prima volta il tuo articolo (e ci tengo a precisare che l’ho letto più volte) sono rimasto veramente colpito da: l’ignoranza con cui usi termini di cui non sai il significato, esprimi concetti generalizzando all’ennesima potenza e usi termini dispregiativi per descrivere una CULTURA (perché di questo si tratta) che a te evidentemente non piace.
Voglio analizzare più punti del tuo articolo e partirò dal tuo ultimo paragrafo. Da questo prenderei in considerazione l’ ultima frase in cui tu critichi chi segue “questa roba” e il concetto stesso di Hype. Vorrei farti notare, però, che, nelle foto che seguono l’articolo (che presumo raffigurano te, essendo questo il tuo sito), indossi delle scarpe che sono attualmente presenti nella moda streetwear. Quindi si evidenzia una contraddizione tra ciò che dici e ciò che fai.
Passiamo ad altro punto. Tu critichi la generazione post millennials come se fosse questa la categoria per cui si è sviluppata una moda che a te non piace. Questa categoria (tra i 12 e i 17 anni), ti posso assicurare, è come se non esistesse per i marchi streetwear e le case di moda in quanto non sono loro i consumatori (dato che non si possono permettere pezzi costosi).
Nel pezzo in cui parli di cosa ha detto Hiroshi Fujiwara, dici che lui ha detto quanto sia giusto dare in mano a “tizi qualunque” case di moda internazionali. Tu ti stai chiaramente riferendo a Virgil Abloh che recentemente è diventato direttore creativo della maison Luis Vuitton. Detto questo ti sfido a chiedere a chiunque, che sia informato, sia appassionato o semplicemente segua la moda, se Virgil Abloh sia un signor nessuno in quel mondo.
Un altro punto che vorrei discutere è il fatto che tu sia contrariata dal fatto che Jebbia sia ricco sfondato. L’uomo che ha creato la marca d’abbigliamento più famosa del momento, che è partito da zero, non possa essere ricco?
Sono d’accordo con te sul fatto che non tutti i pezzi siano dei capolavori, ma come non sono tutti capolavori i pezzi streetwear non sono tutti capolavori i pezzi delle maison più famose del mondo.
Vorrei chiudere questo commento con uno spunto di riflessione: se una maison come Luis Vuitton fa una collaborazione con Supreme e l’anno dopo chiama come direttore creativo Virgil Abloh (che negli ultimi anni ha sbancato con la sua marca), non sarà perché ha bisogno di un rinnovo per tirare su le vendite?
Dato che sono ignorante, mi potrebbe indicare gli errori riscontrati da lei, signor?
In secondo luogo: le sneakers Fila non rientrano in nessuna delle Maison di lusso citate nel mio articolo, in quanto Fila è un brand sportivo e non di streetwear. Ma proseguiamo, forse non sei tu il compratore di lusso, ma se ti fossi documentato meglio e soprattutto costantemente, sapresti che i tuoi coetanei dispongono di molti soldi e persino bitcoin.
Saluti. Distinti.
buon mercoledì!!!
baci
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