Parigi Fashion Week 2019: ecco il riassunto con i punti salienti
Parigi Fashion Week 2019. Che cosa si dice a Parigi riguardo l’estate prossima?
Ebbene sì, anche se l’appuntamento Parigino è l’unico in grado di poter ancora rivendicare il termine “week”, dato che gli altri sono ormai tiepidi siparietti molto più assimilabili a week-end o gite fuori porta , ho trovato un po’ troppo forzata e ambiziosa, in certi casi, quell’idea di fare della moda qualcos’altro, apparentemente più concettuale, magari accostandola ad espressioni artistiche meno frivole. Ho scritto” forzato”, perché lo stupore, non ci appartiene più. Il livello di narcosi da spettacolo, infatti, è tale che nulla riesce più a scuoterci, né, tanto meno, a imprimersi nella memoria.
La moda può bastare a se stessa, se così non è, occorre porsi qualche domanda.
Parigi fashion week ss 2019: quella che…Vince chi la fa più fuori dal vaso
L’impressione è che la moda non basti alla moda, ancora. Non bastano i creativi, gli invitati, le influncer, non bastano i vestiti.
Tra performace, happening, cinema muto, piece teatrali, nessuno fa più caso alla moda. Si gioca di potenza, in un vero e proprio braccio di ferro tra conglomerate del lusso dove vince chi sbalordisce e sorprende con spettacoli portentosi simbolo della loro potenza economica.
Lusso commerciale
significa lavorare su più codici, farli convergere in una determinata estetica e far quadrare il bilancio, gli eminenti teorici non potrebbero dirlo in modo più bizantino: “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Quindi, sì, salvaguardare l’heritage delle Maison disseminando le collezioni di pezzi e accessori facili da vendere ci sta, ma i vestiti, i vestiti li dobbiamo vedere e non scorgere per sbaglio.
Se a Milano sembrava che si fosse giunti ad una certa maturazione riscontrabile in defilé straordinariamente normali, a Parigi lo spettacolo va ancora di moda.
Gucci
omaggio distopico alla francia madre del cinematografo, nel film di Michele fortemente influenzato dal cinema espressionista tedesco mette in scena una narrazione allucinata in cui il tema tra finzione e realtà, tempo e spazio costringono il pubblico a porsi molte domande scomode. Lo spettatore è messo crisi e nello stesso tempo diviene partecipe dell’illusione collettiva cucita magistralmente da un Michele, in preda a chissà quale divinazione. Un po’ Wieine e un po’ Melies, Michele o chi per lui si erge a tutti gli effetti a direttore di un manicomio in cui i consumatori/pazienti fanno a gara per entrare. I costumi potrebbero essere di una collezione passata, tanto nessuno lo noterebbe, anche perché, probabilmente a nessuno interessa.
Fuori da ogni logica Michele persevera nel distribure su corpi diafani tessuti e gingilli in macchie di colore mascherate da ambiziose dimostrazioni intellettuali.
Dior
Che dire, una meravigliosa collezione, un’autentica dichiarazione di bellezza e femminilità contemporanea: severa e austera come la disciplina della danza, ma al contempo leggera e fragile come la figura della ballerina. Certo, il tema “balletto” anche se un po’ abusato, sarà di sicuro un successo commerciale, ma come suggerito da Tim Blanks viene da chiedersi se c’era davvero bisogno di rendere il ballo così invasivo sulla scena, perché, per scrutare la passeggiata delle modelle ci si doveva davvero concentrare, un vero peccato.
Saint Laurent
In quanti se presentassero una collezione di notte davanti alla Tour Eiffel farebbero flop? In effetti ci si dovrebbe proprio impegnare, eppure se non fosse stato per le modelline dalle gambe infinite che sguazzavano in uno specchio d’acqua nero, tanto drammatico, quanto evocativo, i look potevano sembrare una sfilata a metà tra Stradivarius, Calzedonia e Intimissimi. Lo ripeto, mi sono sforzata di decontestualizzare i look dal set e il risultato è stato irrimediabilmente cheap.
Il caso Celine. Qui, nonostante i tamburelli e la mastodontica installazione specchiata, i vestiti si vedevano bene, purtroppo.
E’ stato detto che Celine di Hedi Slimane era come Saint Laurent, smettiamola. Celine era Hedi Slimane. Questo è quello che sa fare e che ha sempre fatto. Ci si aspettava di più? Forse, ma quello che abbiamo visto è lui e lo rifarebbe in qualsiasi altra Maison. Da Phoebe a Slimane è come passare letteralmente dal giorno alla notte, dall‘apollineo al dionisiaco, dalla compostezza all’audacia, dalla nicchia adulta alla massa adolescente.
Celine ora è impregnato di una visione tossica, emaciata e problematica della vita, gli abiti si stringono e si riducono quasi per masochismo. C’è molta insicurezza dietro la spavalda occhialata nera da indossare anche di notte e nascondersi o dissimulare la propria personalità dietro quest’attitudine rock and drugs non è la soluzione. Il cattivo messaggio è arrivato e sarabbe davvero il caso che Hedi lasciasse andare i suoi demoni e passasse a qualcosa di più innovativo.
Dal punto di vista qualitativo la collezione è impeccabile, quasi leggera nella sua drastica cupezza e sicuramente il nutrito pubblico di discepoli Slimane accoglieranno con grande calore il nuovo corso di quella “noiosa” Céline di Phoebe Philo.
I migliori
Loewe. Jonathan Anderson flirta con l’arte contemporanea quel tanto che basta per elevare il ruspante cuore da “mandriano spagnolo” del marchio in una chiccosissima quanto essenziale e leggera collezione vacanziera.
Balmain. Una collezione ovviamente, sopra le righe, ovviamente serale, ma nonostante la grinta vorace da “fatale-mummia-Jeeg robot d’acciaio” Olivier ammorbidisce la morsa da Regina della disco ’80 in favolosi total look all white. Pantaloni scivolosi, abiti a ventaglio e maniche a mezzaluna in voile di seta. Bello.
Givenchy. La Claire ha trovato perfettamente la sua strada e supera le aspettative. La sua estetica è completa e maturata, ritorna la distinzione tra look giorno e look da sera, in un perfetto equilibrio tra maschile e femminile. Una collezione veloce, pragmatica e sbalorditiva nell’acciuffare e tratteggiare il contemporaneo modello di bellezza. Strepitosa.
Balenciaga. Demna Gvasalia riesce a bilanciare la forza di una scenografia multisensoriale opprimente e magnifica studiata con l’artista Jon Raffman senza schiacciare il suo pret-a-couture. La sua Spring Summer sonda il concetto di “glamour nel contesto contemporaneo”il risultato è proprio quello che ci aspettavamo: una brutale collezione dal taglio sartoriale indossabile e riconoscibile.
Lemaire. La stratificazione raggiunge l’apice della bellezza. Una collezione giorno fascinosa e funzionale ritmata da una palette neutra e fresca che esplora la vestibilità sofisticata del trench oversize.
immagini businessoffashion.com
Sinceramente a volte rimango senza parole!
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