Burberry B Series & Co. Il lusso pataccaro che piace ai teenager
Burberry B series & Co.
Io mi dissocio. No, non credo proprio che rilasciare micro-collezioni ogni mese sia un passo decisivo verso la sostenibilità dei marchi di moda. Collezioni, che, peraltro, vanno ad affiancarsi alle principali, triplicando l’offerta, anche se per periodi sempre più brevi.
Sarà che non mi sono mai piaciute le “seconde scelte”, le seconde chance e nemmeno le seconde serie, ma la banalità della “B series” concepita da Tisci-Burberry per ringalluzzire quel “vecchio scarpone” di marchio Inglese è solo l’ultima umiliazione collezionata dal lusso contemporaneo. Un lusso che ormai ha perso anche il più piccolo barlume di prestigio e che punta tutto sui piccoli spendaccioni, i quali, avendo un background culturale e morale insanabilmente arido ed essendo proiettati nel “disagio” prima del tempo rispetto alle generazioni precedenti, credono di poter dribblare le loro insanabili insicurezze apparendo migliori su Instagram. Come? Dimostrando di essere parte della tribù “vincente” del momento, con un bello stemmino sul felpino.
Poveretti.
Continuo a citare Burberry, perché la “B series” è appena uscita e continuerà a ripresentarsi ogni 17 dei mesi futuri, quindi, il caso risulta emblematico per esaminare la situazione generale del lusso nell’ipertempo. E non perché ce l’abbia con Tisci. Riccardo è solo il mezzo con cui le politiche di rebranding e di comunicazione vengono diffuse all’esterno dell’azienda, perciò, niente di personale.
Possiamo, infatti, anche pensare alla nuova collezione di Fendi con Fila, pataccara quanto basta per impestare le strade di tamarri fieri dei loro irresistibili acquisti.
Intellettuale VS tribale
Il lusso lascia l’esclusività, per fare “comunità”, o lo compri o lo dimentichi.
Se da una parte queste operazioni di marketing sono azioni limite necessarie sia per mantenere in salute i marchi grazie ad un ricarico pazzesco sui prodotti più basici, sia per conservare l’attenzione del pubblico più giovane di mese in mese, dall’altra feriscono a morte l’immaginario elitario a cui gli stessi si rifanno, e così facendo perdono di credibilità nei confronti di quella che era la clientela più colta e matura. Una clientela che disgustata dalla svolta democratica e volgare aperta dai marchi di lusso rinuncerebbe a qualsiasi genere di acquisto.
Il lusso si abbruttisce e il risultato è che non si desidera più niente di “firmato”
Più passa il tempo e lo sbrodolamento di cenci per cafoni si moltiplica, più il desiderio e l’aspirazione di accedere ad un qualche immaginario detentore di raffinatezza, discrezione ed esclusività si estingue insieme alle identità dei marchi, dove l’unico indicatore di lusso rimane il prezzo.
Se, come scrive Quirino Conti*, postuliamo che la moda sia quella perfetta felicità esaustivamente tratteggiata nel 1637 da F. Hals e P. Codde in 16 espressioni distanti e compiaciute ne ” The Meagre Company“, allora, tutto quello che ci propinano oggi, come potremmo definirlo?
In questo dipinto il Capitano Reynier Reael e compagnia con una naturalezza quasi crudele tratteggiano quell’ideale di moda esclusivo a cui gran parte della moda cosiddetta di “lusso” oggi vorrebbe rimandare, ma che quasi sempre si limita a scimmiottare trascurandone la spaventosa profondità dei suoi eterogenei, allegorici significati .
Nel dipinto in questione, un grumo di privilegiati vestiti di ricchezza disinvolta si trovano un gradino sopra l’osservatore di modo che la distanza e lo status sociale vengano accentuati. Questi signori ci notano appena guardandoci dall’alto, compiaciuti e meravigliosamente adornati con fogge all’ultima moda. Eccola l’idea di lusso irraggiungibile. Un lusso che è privilegio, sogno e godimento, in pratica una natura morta vista con gli occhi di oggi.
Immagini via Vogue.uk e FashionNetwork.com
*Mai il mondo saprà, Q.Conti
non piacciono neanche a me queste mini collezioni
baci
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