Lo status symbol di oggi: ecco perché è un concetto che non esiste più
Lo status symbol nell’età del transitorio.
La domanda è questa: ha ancora senso oggi parlare di status symbol in riferimento ai nostri oggetti di consumo?
Siano questi una macchina, un orologio, un paio di scarpe o una borsa, lo scenario che si presenta è molto diverso rispetto a quel tempo (non poi così remoto) in cui l’acquisto di determinati beni, costosi, rari o esclusivi, corrispondeva (quasi sempre) al raggiungimento di uno status sociale di potere del possessore.
Oggi, infatti, un dodicenne sgallettato potrebbe facilmente concorrere con voi nell’acquisto di una sneakers o di un marsupio firmato Gucci, Balenciaga o Louis Vuitton. In tal caso, potreste quindi, essere voi stessi, a sentirvi in dovere di scansare la malaugurata eventualità di finire etichettati come sguaiati attivisti di qualche baby gang suburbana praticando l’ascetismo dal lusso contemporaneo.
Se vogliamo proprio essere sinceri, infatti, le uniche compagnie che ancora tentano e riescono a smarcarsi dai barbarici effetti della democratizzazione del lusso sono Hermès, Chanel e in parte Dior.
Purtroppo, infatti, quasi tutto l‘heritage che apparteneva alle più grandi Maison e le rendeva inavvicinabili alla massa è stato ampiamente razziato dai vari strateghi del marketing, a colpi di semplificazione, spettacolo e banalità.
In poche parole, la maggior parte del lusso contemporaneo non riesce più a generare valore e così facendo oltre ad essere facilmente sostituibile, succede che i marchi diventano intercambiabili, poiché appiattiti in un’unico orizzonte di simboli tanto facilmente riproducibile, quando suscettibile alla dimenticanza.
Senza metafore, infatti, la Moda è poca cosa, non è che abbigliamento.*
Quirino Conti
Abloh ha detto che gli occorrono 10 minuti per inventare molti dei suoi progetti,
ad un consumatore ne occorrono solo 5 per aggiudicarsi un bene di “lusso” e solo un mese per rimpiazzarlo con qualcosa di più “cool”.
L’eternità, lascia il posto alla tirannia del momento
Nella nostra temporalità “puntillistica” * (Bauman), dove ogni istante promette infinite possibilità di cambiamento di identità, l’eternità sembra non essere più una qualità da ricercare, poiché sostituita dall’importanza del momento. Ecco perché anche una creatività spicciola e ingiustificabilmente costosa riesce a bastare e avanzare a se stessa, se sostenuta da una poderosa macchina della popolarità in grado di innalzarla ad “arte”.
Oggi l’attrattiva di un’identità su cui vengono cuciti ornamenti acquistati aumenta in proporzione all’aumentare del denaro speso.*
Nella distopia generica creata nell’ipertempo,
sembra tornare buono il concetto “readymade” di Duchamp (1917), conosciuto come il papà di quell’arte concettuale che eleva l’oggetto comune ad opera d’arte, annullando così la distinzione tra realtà e illusione. Alla base di questo approccio, quindi, l’idea che ciò che rende l’oggetto comune e banale un’opera d’arte sia proprio il riconoscimento da parte del pubblico del ruolo dell’artista.
Rimane sempre da chiarire, se a questi “geni” della piazza Instagram, sia davvero imputabile il ruolo di artisti, perché semmai un giorno qualcuno dimostrasse il contrario, non sarebbero pochi gli Imperi a cadere.
Bio
*Vite di Corsa, Zygmunt Bauman
*https://www.mbnews.it/2016/03/readymade-loggetto-gia-fatto-che-diventa-arte-da-duchamp-a-manzoni/ Il suo ragionamento è semplice: l’artista, in quanto tale, determina l’artisticità di un oggetto, scegliendolo tra altri, firmandolo, ricollocandolo, magari in un museo o in una mostra, decontestualizzandolo dalla sua originaria funzione, prediligendo l’aspetto estetico a quello funzionale.
*https://www.vox.com/the-goods/2018/10/30/18027074/off-white-timeline-history-luxury-streetwear-virgil-abloh
immagini via pinterest.com
“Se vogliamo proprio essere sinceri, infatti, le uniche compagnie che ancora tentano e riescono a smarcarsi dai barbarici effetti della democratizzazione del lusso sono Hermès, Chanel e in parte Dior.”
Dior???? Ma hai visto i “logoni”? Scritte con il font dei cartelli stradali…
Forse Hermès, perché rimane attaccato al suo segmento “carampani” (quello che io chiamo stile “mia zia”). Quanto a Chanel…mi fido di quello che dici.
Ciao Laura, ho incluso anche Dior perché come Chanel ( che pure invita alle sfilate i rapper e Karl perde sempre più colpi e senso e fa magliette e schifezze logate varie), perché godono di un’eredità radicata nei suoi fondatori che difficilmente può essere estirpata, nonostante si faccia di tutto di più per corteggiare la massa.