Milano Fashion Week Uomo 2019. Suspiria. Tempo di sospiri e sconforto. L’atmosfera di inizio anno ancora più deprimente del cappuccino di soia. Persino le tre le signore del dolore di Thomas de Quincey, Mater Lacrimaru, Suspiriorum e Tenebrarum impallidirebbero a sentire le storie di questi giorni.
Ma ripercorriamole insieme.
Mentre da una settimana a Dhaka gli schiavi moderni (soprattutto donne) vengono presi a cannonate d’acqua e gas lacrimogeni poiché colpevoli di essersi ribellati ad un sfruttamento disumano consolidato e, ovviamente, nessuno ne parla, a Milano oltre ai saldi è iniziata la Milano Moda Uomo.
Milano Moda Uomo, ovvero, una timida escrescenza di appuntamenti “alla moda” , un’edizione “salvaspazio” di quella che qualche umorista ha ancora il vezzo di chiamare fashion week. Si tratta, infatti, di uno spettacolo fiacco e consumato le cui fila sono tenute in piedi da un burattinaio maldestro e turbato dal possibile fallimento.
Il fermento diventa debole formicolio.
Anche gli addetti ai lavori faticano a nascondere l’imbarazzo dietro l’abbacinante aridità creativa dei loro clienti e così le risate si fanno smorfie, i party delle veglie funebri.
Lo streetwear è ancora la sorgente aurea a cui i designer Milanesi attingono per le loro messe in scena, una scorciatoia linguistica sguaiata di felpe, piumini, scarpe sproporzionate e semplificazione, insomma, niente che non sia già stato visibile o acquistabile a poco prezzo su Asos, H&M o da Zara.
Zombie, rapper e redivivi: grazie al cielo Miuccia Prada
Sguazzando nell’orrore, proprio dai morti trae linfa vitale Miuccia Prada, che elabora una collezione vendibilissima ripiena di simboli e suggestioni politiche e sociali che scaturiscono dal famoso romanzo gotico di Mary Shelley, figlia, non a caso della prima femminista della storia Mary Wollstonecraft.
Alla kermesse maschile un’altra eccezione: il lavoro di Alessandro Sartori (Zegna) è impeccabile e di classe, il codice sportivo abbraccia l’artigianalità Italiana senza ricorrere all’escamotage della spettacolosità.
Ma è lo sfondo su cui i teatranti danzano a turbare gli osservatori più acuti.
Sullo sfondo, infatti, lo spettro di una presenza estranea e severa che dall’ombra tutto giudica e dirige sembra farsi sempre più soffocante.
La questione Cinese
Se è vero che mercato del lusso si regge quasi completamente sulla spesa dei consumatori Cinesi, è anche vero che questo stato di sudditanza ossequiosa nei loro confronti sta cominciando a farsi opprimente.
In due mesi abbiamo assistito all’impietoso giudizio Cinese in merito a due iniziative di marketing che hanno avuto l’ingenuità di misurarsi troppo superficialmente con una cultura chiusa e visceralmente distante da quella Occidentale.
Dolce e Gabbana con gli spaghetti e i cannoli prima e Burberry con il ritrattino della famigliola “horror” dopo, hanno dovuto fare i conti con l’estrema suscettibilità di un popolo guidato da un governo che proprio ieri ha aggiornato le proprie linee guida per evitare la censura dei video che circolano sulle app sociali.
E mentre Milano si prepara a trasformare via Montenapoleone in Chinatown per celebrare il capodanno Cinese (una intera settimana) tra bacini e inchini, pare che questa situazione cominci un po’ a generare delle insofferenze.
Se lo spauracchio della “polizia con gli occhi a mandorla” si fa sempre più opprimente, non sarebbe forse il caso di tornare a far crescere il mercato nostrano (anche Europeo), magari con meno pagliacciate di marketing, ma lavorando su valori quali trasparenza, eticità, sostenibilità e qualità vera? L’abbiamo capito no? Anche compiacere i Cinesi costa caro.
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