Virgil Abloh Louis Vuitton: il menswear Riposa In Pace
Abloh ha dichiarato che quando sarà vecchio aprirà un negozio di fiori in una città remota. Peccato che quel giorno non sia oggi, perché ahimé, il carissimo archi-DJ è insopportabile.
Virgil funziona come un iPhone, il suo linguaggio è a prova di bambino, ipersemplificato e diretto, così disarmante nella sua sfrontata ricerca della banalità, da essere tentati di dover dare una spiegazione concettuale a giustificazione dell’esibita bruttezza dei pezzi.
A dispetto della calorosa accoglienza della stampa, a questo giro la collezione LV sembra annoiare anche il pubblico di Instagram. Innervosisce la speculazione sulla mitologia MJ, soprattutto per chi l’ha vissuta, e infastidiscono le solite pretenziose, improbabili uniformi da strada. Per farla breve la presuntuosa strafottenza vestimentaria dei cazzari rapper e degli skater potrebbe essere arrivata alla fine del suo ciclo di vita.
E c’è da augurarselo perché la tossicità che si diffonde nel mondo dalla sopravvalutazione di Abloh, perfetta incarnazione della propagandistica favola Americana dell’uomo qualunque che arriva ai vertici della società dal niente è proprio una boiata colossale. E mentre aspettiamo di digerire pure la sua prima collezione di gioielli fatti con le graffette, ci assorbiamo le sue ennesime porcherie.
Foraggiato da LVMH e sostenuto dai suoi amichetti Vip ad Abloh non servono certo delle idee per far diventare desiderabile qualsiasi caxxata gli passi per la testa. E così, per addolcire la prepotente inconsistenza delle merci che portano il suo nome, vampirizza immaginari, sentimenti e luoghi comuni: la scenografia di Billie Jean, i guanti di Jackson, la comunanza con le minoranze, lo spirito inclusivo, l’orgoglio Afro, il sogno Americano… Tutto scorre verso l’insignificanza e lì muore senza lasciare traccia.
Il signorino, poi, non è solo il massimo esempio di incoerenza e finta umiltà, ma è anche uno dei massimi responsabili dell’imbarbarimento della moda insieme all’amico Kanye. L’esempio più lampante di questo triste risvolto è Valentino o VLTN, che ormai sbanda a destra e a sinistra in cerca di una identità accattivante e raccoglie la peggiore eredità dello streetwear e dell’ Abloh-mania. L’inverno pensato da Piccioli subisce gli attentati “creativi” di Undercover il marchio di Takahashi, ma la riprova della urticante sovrapposizione di temi e stili si condensa alla perfezione in un commento dove un utente ammette di aver creduto si trattasse di Louis Vuitton.
In un passo de “La camera chiara” R. Barthes fa notare come la Fotografia, in un primo momento concentrata a catturare il notevole, si sia ben presto orientata a impressionare il “qualunque cosa” innalzandolo a valore come atto di grande sofisticazione. Ebbene, nella moda contemporanea accade la stessa cosa, più è banale e oggettivamente brutta, meglio è. Tutto quello che viene immesso sul mercato da questi araldi del nulla cosmico è geniale. Anche i loro personaggi, di conseguenza, lo sono.
E se questi personaggi sono tali, lo sono soprattuto perché la maggior parte degli acquisti di abbigliamento di lusso sono (incredibilmente) fatti dagli uomini.
Quegli stessi ominidi che, come riferimento (senza dover per forza andare a disturbare i vari Brummel e Byron, portatori sani di dandismo), hanno dei minchioni tatuati e foderati di metalli fino ai denti che pensano di rendere servizio alla società con la loro strafottente ignoranza. Un vocabolario ricco di gesti e privo di parole in lingua, poi, li eleva a veri e propri idoli degni di stima per aver saputo vendere a caro prezzo la loro malacreanza.
Per concludere: è colpa degli uomini, sempre loro 😛
uhahaha questa sì che è una recensione senza peli sulla lingua