Haute Couture Paris 2019.
Mentre registriamo con grande mestizia che il progressivo e inesorabile livellamento generale del prêt-à-porter in una landa desolata di “mediocrità premium” non è più una possibilità, ma una certezza individuabile nella scelta dei medesimi font (i sans serif), una distrazione: l’Haute Couture.
In una piega spazio temporale al di là del rumore claustrofobico della rete e della rozzezza dei Social, l’inarrivabile appuntamento con lo sfarzo dei pochi rimane pregnante. E se anche gran parte della riverenza di cui tutt’oggi riesce a godere questo appuntamento nasce proprio dalla consapevolezza che questo spettacolo sia destinato a poche centinaia di eletti, l’Haute Couture resta un capitolo di piacevole disintossicazione dalla progressiva iconoclastia condotta dagli ambiziosi stilomani a capo ready to wear.
La Frivolité Essentielle
L’abito anticipa sempre uno stato di cose a venire e lo fa stimolando la nascita di una nuova mentalità destinata a diventare la norma. La sperimentazione e la creatività, là dove non devono per forza essere succubi delle strategie di mercato, hanno campo libero, proprio per questo l’Haute Couture viene percepito come un avvenimento autentico.
Alla ricerca della verità, oltre la bellezza
Nell’Haute Couture Primavera 2019 domina un approccio sincretico in cui il regime immaginifico diurno si alterna a quello notturno. La magnificenza dei volumi e l’irruenza del colore (Valentino) si alternano a visioni introspettive e lunari di un femminile dall’animo algido e risoluto (Givenchy), altre volte ludico e infantile (Dior).
A mio parere Clare Waight Keller è colei che meglio di tutti riesce a elaborare un concetto di Couture moderno, volitivo e indossabile a partire da archetipi divini ancestrali sedimentati nella memoria collettiva. Con decisione ed eleganza la designer tratteggia così contraddizioni e ambizioni dell’intricato animo femminile. Le forme affilate si alternano a delicati see through , la brutalità del lattice si ammansisce tra pizzi, luminescenze e decorazioni tridimensionali.
“L’eterno femminino ci trae in alto”*
97 metri di taffetà e quasi 700 ore di lavoro per un solo abito, questi sono i numeri della Haute Couture di Piccioli. Pesante, vistosa, la vecchia scuola a cui si affida il designer può non piacere, ma viene apprezzata la tecnica.
Giambattista Valli fa Valli, tanto quanto Chanel di Karl (che stranamente non compare a raccogliere applausi poiché malato) è sempre il solito Chanel. Non c’è evoluzione, ma nessuno dei compratori, forse, l’ha chiesta e va bene così.
Haute Couture è anche assenza di compromessi
Galliano castra la bellezza per cercare la verità. Lui non è interessato ai vestiti, ma alle idee. Il designer, piuttosto, profetizza un presente che non vediamo, eppur viviamo. Ancora una volta ci viene mostrato uno spaccato di realtà dove il piacere estetico viene sacrificato in nome di un’indagine antropologica e sociologica. La sua epopea decadente continua subodorando la perdizione dell’umanità in un vivace, terribile continuum visivo tra corpo e spazio dove tragico e drammatico diventano brandelli di abiti posati a caso su corpi deformati.
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