Scandalo nel mondo della moda.
Dicembre 2018: la catastrofe dei Dolce e Gabbana con i cannoli e gli spaghetti fallici scatenano una crisi diplomatica con la Cina. I due stilisti vengono banditi dal regno dorato, un po’ come Al Bano e Cutugno dall’Ucraina.
Sempre a dicembre, a Prada sfugge dal taschino un pupazzetto-ciondolo a forma di scimmia con evidenti labbra rosse. La scimmia è così brutta che non passa inosservata al radar di un’avvocatessa per i diritti civili, tale Chinyere Ezie. Per lei è un intollerabile richiamo al “blackface”, ovvero, al trucco che, all’inizio del XIX secolo gli attori bianchi utilizzavano per ricoprire in maniera stilizzata e stereotipata la parte di una persona di colore. Dal post suFb allo scandalo mondiale è un attimo. Seguono prontamente scuse ufficiali dell’azienda e ritiro immediato dal commercio di tutte le scimmie, anche di quelle vere.
Gennaio 2019: è ancora la Cina a sentirsi ridicolizzata nella campagna di Burberry. L’adv incriminata raffigura una famigliola benestante Cinese, ma alla maniera degli Americani. The Vampire Diaries, Twilight e Scream, ci si può vedere un po’ di tutto, davvero comica come trovata, ma piuttosto innocua, eppure la Cina non transige. Seguono scuse e censure.
Febbraio 2019: è il turno di Gucci. Si schiera contro l’azienda anche Spike Lee, il motivo? Un maglione nero (balaclava), a collo alto, anche questo ambiguo per via di una evidente bocca rossa disegnata. Il pezzo è venduto a 890$ ma in America a indignare non è il costo. Come nel caso della scimmia di Prada, anche questa volta il pubblico accusa il team creativo e dirigenziale di insensibilità e razzismo nei confronti della comunità Afro. Come da rito: seguono umili scuse e i maglioni vengono ritirati. Non passano nemmeno 10 giorni, che è ancora Burberry a inciampare nello scandalo. Questa volta ci va di mezzo Riccardo Tisci, che manda in passerella una hoodie che al posto dei lacci ha un cappio. La modella Liz Kennedy tuona sul suo Instagram «Il suicidio non è moda», e ha ragione.
Ma il carosello della vergogna è democratico e non fa preferenze, così eccoci arrivate a marzo e a Louis Vuitton. Sarà colpa di Nemesi, dell’invidia degli Dei o sarà il karma? Chi lo sa, fatto sta che a questo giro non la passa liscia nemmeno quel buontempone di Abloh, il re dei luoghi comuni e delle vincite facilitate. Quella che doveva rivelarsi una mossa strategica fenomenale, ovvero, sfruttare l’immagine di Michael Jackson per vendere t-shirt grondanti di nostalgia a cani e porci, si è rivelata una catastrofe. Con un tempismo implacabile, infatti, il docu-shock Leaving Neverland (quattro ore di riprese in cui Wade Robson e James Safechuck raccontano degli abusi subiti quando avevano tra i 7 e i 10 anni) presentato al Sundance Film Festival, va in onda in tutte le tv. A poco servono le scuse del dj, i pezzi “cult” della collezione vengono fatti sparire. Flop megagalattico.
Per chi non avesse ancora chiara la situazione: questa è “La Passione” dei direttori creativi
ma manteniamo il sangue freddo. Bisogna, infatti, riconoscere che questo scenario non solo fa parte del gioco, poiché si tratta di una conseguenza prevedibilissima provocata dalla ingorda smania di popolarità dei brand, ma è anche un fatto imprescindibile dallo loro stessa esistenza. Oggi, infatti, nessuno oserebbe più parlare della moda contemporanea come di arte, paradossalmente nemmeno gli stessi designer (anche se qualche spiritoso giornalista che tenta di convincerci del contrario si trova ancora, ma giusto per garantire all’editore una pagina di pubblicità in più).
“Un artista è un artista, è una professione diversa. Non penso che la moda sia un’arte. Il punto chiave del nostro lavoro è che, alla fine, creiamo il prodotto. “
Miuccia Prada
Oggetti da indossare o la moda ai tempi della sua infinita riproducibilità tecnica
L’arte tradizionale non è mai stata uno strumento di intrattenimento per svagare la massa e non è nemmeno mai stata una pubblicità.
Quelle che ho elencato poco sopra, quindi, altro non sono che teorie della persuasione, di sicuro applicate ad arte.
Inutile quindi continuare a indignarsi per questi “poveri” creativi attaccati dai “pasionari” o dai paladini della pace nel mondo, perché entrambe le fazioni, seppur estreme, sono un prodotto del nostro tempo, anche questo estremo.
Un tempo di estremismi, iperboli ed esagerazioni che ha poche idee, ma sempre tante cose da dire, anche se nella maggior parte dei casi preferiremmo essere sorde.
immagini google.com
A volte, come ben dici, la smania di alcuni brand sfugge di mano a loro stessi. Altre volte invece si esagera nella critica. L’importante per noi che acquistiamo è avere la testa per pensare, non solo seguire un nome famoso di moda.
Baci,
PeonyNanni