Notre-Dame donazioni, basta con le polemiche sterili.
Dove vanno le anatre quando ghiaccia il lago di Central Park, si chiedeva il giovane Holden Caufield, ebbene, dovunque vadano, ci andrei anche io. Scomparire, d’altronde, oggi, non è mai stato così semplice.
I social danno e tolgono la parola insieme all’esistenza, eppure, chi dovrebbe tacere, troppo spesso urla più forte di tutti gli altri.
Notre-Dame critiche contro i donatori
Più del dispiacere intorno alle fiamme di Notre-Dame, faccio fatica a metabolizzare la rozza strafottenza populista di quelli che, pur essendo regolarmente adulati e mantenuti dai multimilionari del lusso ( ma anche quelli che non lo sono), hanno trovato in questa triste disavventura il pretesto per far parlare di sé scagliandosi contro questi ricchi benefattori con feroci, patetiche critiche.
Tralasciando la loro sintomatica misera erudizione, che nessun badge su Instagram e nessun contratto stellato potranno mai colmare, mi interesserebbe far notare loro che il mecenatismo dei big dell’industria del lusso è pratica piuttosto comune e aggiungerei anche piuttosto provvidenziale, considerato il pessimo stato di salute in cui vertono i conti statali e il grandioso patrimonio culturale da salvaguardare.
Donazioni record Notre Dame: è indubbiamente stata un’operazione di marketing, quindi?
Tralasciando il fatto che se Kering, LVMH, Apple, Disney e compagnia non avessero sganciato quel bottino i costi della ricostruzione sarebbero ricaduti sulla collettività (Notre-Dame non era assicurata) e sorvolando anche il fatto che le conglomerate del lusso non beneficeranno di alcuno sconto fiscale, che male c’è se dei privati contribuiscono al mantenimento dei beni culturali dello stato?
Gli imperatori romani erano soliti assicurarsi il consenso del popolo con la distribuzione di grano o con l’organizzazione di grandiosi spettacoli pubblici, oggi, più o meno con lo stesso intento, i giganti del lusso e le multinazionali, con le loro iniziative tentano di creare valore intorno alle loro aziende per sgomitare la concorrenza.
Per fare ciò si muovono su più fronti, in particolare su quello sociale e culturale
L’impegno nella tutela delle grandi opere, infatti, è solo uno (anche se uno dei più efficaci) degli sforzi delle aziende per accrescere di rilevanza e pregnanza nell’immaginario della società.
E giusto per rinfrescarci la memoria
Perché tre anni fa non sono stati investiti dalle critiche Prada e Versace main sponsor del restauro di Galleria Vittorio Emanuele? O Tod’s che ha sposato la causa del Colosseo per 25 milioni di euro. Ricorderemo, poi il restauro della Fontana di Trevi a Roma ad opera di Fendi (di nuovo LVMH) e Salvatore Ferragamo impegnato con la Galleria degli Uffizi a Firenze.
Tutti concentrati sulla cultura e non sulla povera popolazione, ma si tratta di problematiche che procedono su binari completamente differenti!
La cultura, l’arte, la storia, la bellezza, non sono solo beni dell’umanità, ma contribuiscono a rafforzare il fascino di intere Nazioni, fattore decisivo per il settore turistico e alberghiero e i suoi dipendenti, che tanto ci stanno a cuore. Noi, proprio come la Francia, abbiamo avuto il dono di essere i centri nevralgici della storia Occidentale, il minimo che possiamo fare oggi, è salvare o delegare il salvataggio di quello che abbiamo ereditato a titolo gratuito.
Una “chiesa del culo” (cit.), per una parassita dei social network di oggi, una ieratica sovrana per un altro. Notre-Dame, in fondo, è solo una cattedrale, è vero. Una cattedrale, peraltro, che non è (ovviamente) più l’originale, è vero, ma è una risorsa per l’umanità da 850 anni, quindi, perché non dovrebbe esserlo anche per quelli che verranno dopo?
Che diritto abbiamo di sollevarci da ogni responsabilità, di decidere per chi verrà dopo di noi?
La verità è che il progresso tecnologico ha spazzato via la pratica e lo studio dell’arte e della bellezza. L’onnipresenza delle riproduzioni ha falsato e reso distratto e superficiale il nostro modo di pensare e guardare l’arte. Di colpo è arrivata a tutti e non l’hanno capita, l’hanno banalizzata e inaridita dei suoi più sacri simboli e valori.
Ripristinare l’aura dell’opera d’arte,
favorire un ritorno ad una fruizione di tipo contemplativo, riscoprire l’apparizione magica di una lontananza, emozionarsi nell’intravvedere il meraviglioso nella sua unicità ( dove possibile), questo occorrerebbe all’uomo contemporaneo, per ritrovarsi e redimersi.
immagini via pinterest.com
E come ricostruire la dimensione ieratica dell’Arte? Ma se tutta l’arte moderna è un’esacerbare l’attimo, un’esagerazione dell’emozione o del pensato…come si può tornare a comprendere la sublimazione del classico?
Educando alla sensibilità, elevando le persone dalla melma dell’effimero.