Giornalismo di moda 2020: l’ultimo capitolo di un mestiere sottovalutato
Giornalismo di moda senza scopo, ecco perché rimarranno solo le riviste di cucina. Dalla moda alla ristorazione il passo è breve e non è uno scherzo. Tra “Sapori e dissapori”, Marie Claire ha appena concluso il suo esperimento “food&beverage” . Ebbene sì, se la parola d’ordine della nuova economia è “diversificare” gli intoccabili gruppi editoriali della moda inforcando grembiule e cucchiaio scendono in piazza vicino alla gente “del popolo“. Il bistrot del gruppo Hearst, aperto pochi giorni fa in zona Paolo Sarpi, infatti, tra show-cooking e degustazioni prometteva un’agenda ricca di format in perfetto stile “la prova del cuoco evolution“o “master chef reloaded” . Improbabile da pensare fino a qualche anno fa, ma vero.
Il cibo rende felici e sicuri: tutti.
Nonostante tutti i fan sfegatati delle diete proteiche, nonostante la pestilenza della celiachia, nonostante il virus dei fruttivori e il califfato dei vegani, infatti, tutti, ma proprio tutti, torneranno sempre alle origini del “dove c’è Barilla c’è casa”.
Il settore moda è tra i primi a crollare quando si comincia a tirare la cinghia, proprio perché non si mangiano stivali e borsette.
E proprio perché non si mangiano stivali e borsette, apprendiamo che la truculenta falciata della morte nera non ha risparmiato nemmeno Glamour.
Glamour: RIP. Nel 2020 non esisterà più
Dalla tavola del cenone di capodanno, infatti, insieme agli avanzi di cotechino e lenticchie verranno scrollate via sia la versione cartacea che quella online del sopraccitato mensile. Cosa ne sarà dei dipendenti, non è dato a sapersi, forse saranno smistati e compattati in quelle poche redazioni rimaste o tutt’al più eliminati, ma questo poco importa, perché a Natale nessuno deve parlare o pensare che a Natale.
Una cosa, però, è sicura, se chiude Glamour, apre nientepopodimeno che “La Cucina Italiana“, appena rilanciata in Italia e America e destinata a diventare una vera e propria punta di diamante del gruppo Condé Nast.
Ma al di là delle preoccupanti ossessioni per i programmi tv di cibo e cucina che hanno monopolizzato i palinsesti e ora promettono di colonizzare anche la carta stampata, perché le testate di moda stanno scomparendo?
Il calo degli investimenti pubblicitari dovuto alla crisi e la concorrenza con il mondo dei Social, non sono sufficienti a giustificare questa implacabile piaga di disaffezione verso le testate. Infatti c’è di più: questo di più è una conseguenza di anni e anni di indolenza verso un mestiere difficile, ma sottovalutato e di pruriginosa riverenza verso gli investitori pubblicitari.
Scrivere di moda non è per tutti
Troppo semplice copiare e incollare i comunicati stampa in modo meccanico e parziale. Vergognoso insistere a scrivere delle extension di Kylie Jenner o del “trucco infallibile di Selena Gomez per capire che un uomo non fa per lei” per intercettare click.
No, il mestiere del giornalista di moda è tutt’altra faccenda.
Scrivere di moda significa prendersi la grossa responsabilità di rivelare quello che si cela oltre l’abito (habitus).Scrivere di moda vuol dire sviscerare la i sogni e le angosce della società partendo da indizi sparsi e contraddittori. La moda, difatti, è il mezzo con cui da sempre l’umanità esibisce desideri latenti e seppellisce paure insondabili. Si tratta poi di una scienza esatta e complicata che dal soggetto scrivente esige un continuo sforzo di memoria e profezia, in quanto, pur non riuscendo a divincolarsi dal suo passato, tenta costantemente di superare il limite.
E poi la moda non significa solo sartoria, marketing, comunicazione. La moda è storia, sociologia, antropologia, semiotica, filosofia, economia, politica e finanza.
Cani schiacciati: scrivere di cose frivole è una questione seria
questo, era il nome con cui in gergo giornalistico venivano liquidati i pezzi “frivoli” di costume prima che penne come Irene Brin (Maria Vittoria Rossi) o Camilla Cederna irrompessero nel panorama giornalistico Italiano con i loro taglienti e sofisticati appuntamenti indirizzati ad un pubblico femminile fremente di scrollarsi di dosso le usurate vesti da angelo del focolare. Ebbene, oggi di questi nomi cosa rimane? Probabilmente nemmeno il ricordo.
Espugnata la roccaforte di quel che rimane del giornalismo di moda, siamo quasi pronti a chiudere il capitolo giornalettismo di moda dove la casta di privilegiati un tempo coperti di salamelecchi e cadeaux griffati sembra essersi definitivamente arenata intorno ad un lutulento, escatologico dubbio riguardante il senso della sua sopravvivenza.
Dai salotti culturali, ai saloni delle pettinatrici, all’irrilevanza culturale e sociale totale e definitiva, così è se vi pare il giornalismo di moda oggi.
[…]Per non morire di noia, ricorrevo alla citazione storica, all’aneddoto incongruo, al riferimento classico. Quando, oggi, mi capita di rileggere questi milioni di parole, sono sempre stupita dagli esordi: perché ho citato madame de Montespan, il duca d’Alba, l’Eresia Catara, il Ballo degli Ardenti, Rasputin, la muraglia cinese, quando dovevo semplicemente adattare un testo descrittivo al servizio fotografico sui mantelli di paglia? Semplicemente, cercavo di riabilitarmi ai miei occhi».
Irene Brin (L’Italia Esplode)
immagini via pinterest.com
Comments