Coronavirus mondo: l’impatto del virus modificherà davvero le abitudini dell’uomo?
Se tutto rimarrà come ora, i cambiamenti nei comportamenti di consumo saranno pressoché impercettibili, ecco perché.
“Shikata ga nai”(non ci si può fare nulla, non poteva essere evitato), questa era l’espressione con cui l’imperatore Hirohito nel 1975 rispondeva ai giornalisti che domandavano cosa pensasse del bombardamento atomico su Hiroshima.
Il fatalismo che questa saggezza Giapponese suggerisce non è impotenza, ma accettazione lucida e cosciente dei limiti umani, quindi, della fattiva impossibilità di assoggettare qualunque evento alla propria volontà. L’esperienza che il mondo sta subendo, se non altro, servirà a tutti quanti per ridimensionare quella vaporosa impalcatura di credenze volta a fortificare il simulacro del “sacro” ego individuale e riconnettere tutti ad una realtà meno “smart and easy” e più ruvida dell’esistenza. Bagno di umiltà, quindi, per l’uomo Occidentale maniaco del controllo, maniaco della pianificazione, maniaco dell’efficienza, maniaco vittima inconsapevole delle sue stesse mania.
Bagno di umiltà per il superuomo che tutto NON può, ma i consumi rimangono il balsamo della vita
La moda nella pandemia: l’uomo (anche se umile) si abitua a tutto, ma l’unica cosa a cui non potrà mai soccombere è l’idea di rinunciare al consumare
Al di là del pensiero comune, conoscendo di persona le ossessioni contemporanee, credo che questo isolamento forzato con annesso acutizzarsi della sindrome della paura e della suggestione, oltrepassato il primo scoglio di panico irrazionale ( ne siamo quasi fuori) non produrranno quel tanto temuto arresto dei consumi, di cui tanto si parla, tutt’altro.
Dopo aver vissuto per qualche settimana il brivido eccitante del dramma apocalittico, infatti, l’umanità popolata dai vari cloni di Will Smith, Bruce Willis, Nicolas Cage, Dennis Quaid, Kurt Russel, Ben Affleck e compagnia di sopravvissuti avrà bisogno di mettere nel carrello qualcosa che non siano prettamente dell’Amuchina, qualche legume o della carne in scatola.
Credo, quindi, che indebolitosi il pericolo della fame e sfumata l’occasione della fine del mondo, sarà il sentimento di frustrazione causata dal cambiamento repentino del modo di vivere quotidiano in confini ristretti e l’angosciante perdurare del faccia a faccia con il proprio sé interiore ad avere effetti inaspettatamente positivi per il consumo di beni secondari.
Finché c’è Instagram, “c’è speranza”
Non c’è pandemia che tenga, le orecchie dell’uomo non possono smettere di cedere al lenitivo piacere del richiamo all’acquisto, perché al tempo stesso non possono astenersi dal comparire quotidianamente sui social network, veri balsami della vita odierna, ultimi fulcri della socialità ai tempi della pandemia.
Riprendendo Pascal:
“Tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non saper starsene in pace, in una camera” e, aggiungerei, senza smartphone.
Era il 1600 e lo spettro consumistico-narcisistico che indugia sulle teste della civiltà contemporanea era lontano, eppure, già allora l’uomo aveva una morbosa inclinazione a “correre da ogni parte” per schivare lo sgomento di osservare se stesso più da vicino.
Questo correre forsennato dietro surrogati di felicità su piste che conducessero al punto di partenza è sempre stata l’unica garanzia in grado di perpetuare un’abbagliante promessa di rinascita e quindi di gratificazione.
Rinascere dal consumo, per superare lo sconfortante vuoto che il presente mercificato lascia nel cuore, mostrarsi attraverso i propri idoli incarnati in oggetti e compiacersi del plauso altrui. Questo è il correre di Pascal, un correre dove non si arriva mai, pena la fine della “felicità”.
Ancora una volta: shikata ga nai, non ci si può fare niente.
immagini via pinterest.com
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