Coronavirus Italia: ecco cosa possiamo imparare da una pandemia
bisognerebbe imparare a starne dentro e fuori (alla vita): viverla e osservarla come faceva Tolstòj: guardava, capiva, scriveva. Per poi rificcarsi dentro la vita si metteva a fare il calzolaio e il contadino. Per anni.
F.Leoni (p.38 Karma)
Coronavirus Italia: si svolge a casa il corso intensivo per riconnetterci a noi stessi
24 ore di noi stessi per un tempo indefinito, un’esperienza da brivido. Disconnessi dai luoghi di lavoro, dai luoghi di aggregazione/ di distrazione e dai luoghi comuni, ecco riapparire il tempo, vera e propria chimera della contemporaneità, nella sua più autentica e primordiale sembianza. Lenta e implacabile la temporalità ai tempi della pandemia si srotola placida e intransigente, riportando in vita anche il suo “assurdo”, “inconcepibile” risvolto: il pazientare.
La pazienza, questa sconosciuta: workshop intensivo per menti iperattive alla riscoperta della saggezza
Siamo messi alla prova, proprio come Socrate. Santippe era una moglie sgradevole e iraconda, eppure, nonostante l’incredulità dei suoi conoscenti, il saggio non la allontanò mai dalla sua vita. Lo scopo? Il suo era un allenamento, uno sforzo necessario per aumentare la tolleranza all’insolenza e all’ingiustizia del mondo. Ebbene, la nostra prima Santippe che in questi giorni di clausura ci troviamo a dover tollerare, senza vie di scampo, siamo noi stessi.
La convivenza forzata con noi stessi è la vera prova che ci tocca affrontare in questi tristi giorni di esilio dal mondo
Loquaci socialite da posta elettronica e disinibiti oratori da Social, ora che tutto si arresta e scarseggiano le argomentazioni anche nelle stories di Instagram, le vere crisi di panico iniziano al risveglio e si esauriscono sul divano, prima che tutto ricominci, identico e insopportabilmente statico.
Se parafrasando Pascal, la corsa è la felicità, non l’arrivo, oggi ci tocca fare a pugni con tutto ciò che siamo soliti rimandare, per mancanza di tempo (ovviamente).
Solitamente riluttanti a interfacciarci con noi stessi, sperimentiamo senza possibilità di fuga gli effetti della dolce alienazione consumistica-capitalistica che ha cullato l’uomo in distrazioni esterne, nei cosiddetti alibi delle priorità, fin dall’avvento della società moderna.
Il mondo della velocità si è congelato e con esso la dipendenza da impulsi adrenalinici generati da obiettivi, target e siparietti focalizzati sull’ottenimento di benefici materiali immediati.
La cinepresa si è spostata dall’esterno all’interno, ci è passata per la bocca, su dal naso e dalle orecchie. Tutto quello che viene inquadrato è un corpo estraneo, perso, spersonificato, una carcassa priva di scopi, fondamentalmente inutile. Ecco da dove sgorga quella sorta di insofferenza che si sente bruciare dentro, che consuma la mente, più della paura.
Esperire lo sdoppiamento e percepire lo smarrimento
E’ nel silenzio, nei sogni o in situazioni anomale, che con la coda dell’occhio avvertiamo la presenza vaga e insignificante, pesante eppure vuota, rumorosa e petulante del nostro sosia o Doppelgänger.
Solitamente occultato dal frastuono del quotidiano, umile servo e consigliere subdolo di inconsistenti vanità, eccolo comparire ingombrante e sinistro. Questo faccia a faccia è come sporgersi su un abisso frastagliato da schegge di cristalli, che a loro volta riflettono miriadi di ombre e moltiplicano immagini mute ed estranee. La convivenza con queste presenze ubique e ambigue è la vera sfida, osservarle per poi lasciarle andare, suppongo sia la strada verso lo sviluppo di una consapevolezza più autentica.
Come dice il filosofo Slavoj Žižek, forse abbiamo bisogno di una catastrofe per ripensare la società in cui viviamo, ma per rinascere, occorre partire da noi stessi. Ripensare noi stessi. Abbiamo tutto il tempo, per una volta.
immagini via pinterest.com
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