La moda della vergogna. Dalla discrezione all’obsolescenza, uno scenario possibile.
Parlare di moda non è mai sembrato così stupido.
Archiviata la tanto attesa cerimonia degli appuntamenti di settembre, preparata fin da marzo con fiducia e una granitica forza d’animo come simbolo della ” Ripartenza”, ma nella maggior parte dei casi vissuta in un purgatorio di storie, immagini e video potenzialmente trasmessi da un’altra galassia, dopo solo un mese, dati Caritas aggiornati in una mano, bollette, bollettini e Dpcm dall’altra, le parole un tempo dedicate alla moda si smarriscono in una disperata, timorosa, se non vergognosa, afasia.
Eppure, “stupida” è una parola che non mi piace. Perché la moda non è stupida, è il cliente, semmai, che da sempre acquista cose stupide spacciate come “alla moda”, e sarebbe il caso di tenere ben distinte le due cose.
La moda, infatti, è una testimonianza storica, la più onesta cronaca che si possa lasciare ai posteri.
Oggi, questa cronaca, benché ci si sforzi di renderla talvolta cacofonica, talaltra ripetitiva e iperbolica per meri fini commerciali, si delinea in un pugno di atteggiamenti, linee e forme ben precise, che nascono da una negoziazione silenziosa, frutto di un continuo processo osmotico e dialettico tra i creativi e la strada.
La moda, pertanto, è un’esigenza comunicativa viva, individuale e nello stesso tempo comunitaria, ha a che fare con lo stile, ma è visceralmente connessa alla weltanschauung del tempo, la si percepisce bruciare intorno e non la si può mettere a tacere. Alla moda bisogna portare rispetto, non fosse altro, perché dà a tutti l’opportunità di partecipare ad un testamento simbolico che diverrà memoria preziosa per chi ci succederà.
Partendo da queste premesse, però, risulta evidente che nell’isolamento più restrittivo e nella penuria più rancorosa, metta proprio male inserire tra i marchi protagonisti dei capitoli di moda più significativi del momento, nomi come Gucci con la sua ultima clamorosa, quanto irrispettosa beffa delle calze strappate vendute a 149,00 euro o Celine. Slimane, infatti, probabilmente esasperato dalla necessità di staccarsi dalla sua zona confort, sulle note di tal “Princess Nokia” e fuori dal calendario tradizionale non ha fatto altro che realizzare assembramenti di “gadget” firmati apposti su mannequins in libera uscita in un assolato Stadio Louis II di Monaco, luogo di cui si ignora la potenza drammatica. Sono episodi isolati, ma è proprio da queste e altre piccole, ma insopportabili insensatezze messe in circolazione dai rappresentanti del rtw che sorge il pesante dubbio di essere stati scartatati, deselezionati, cancellati dalla lista dei destinatari ideali di questi messaggi, ovvero, dalla lista dei clienti alla moda.
Il dubbio che la moda non stia più parlando con noi
Un noi che abbracciando Europa e Nord America unisce compatte 3 generazioni di consumatori nell’appassionante lotta per la sostenibilità, ovvero, per quel meraviglioso senso etico che nei fatti ben poco si concilia con il successo di realtà come Asos o SHEIN. Quello stesso “noi” che annota il successo del second hand (Depop e simili), ma dove il grosso degli scambi ha un valore di circa 10$, quindi, un noi che piuttosto che molto più responsabili ci vede molto più poveri del previsto. L’imprevedibile ondata di povertà della classe medio-alta, anzi, sarebbe proprio il nodo cruciale su cui riflettere.
Oggi guardiamo all’Oriente con occhi scandalizzati denunciando quel consumo ostentativo dei suoi abitanti, così ossessionati dall’esibizione dello stato finanziario (reale o percepito) attraverso le grandi firme Europee, come un comportamento preistorico e amorale.
Questo, almeno, è quello che possiamo constatare al cospetto di un secondo lockdown, presagio di morte e devastazione di quella classe media già progressivamente sottoposta ad un graduale, ma aggressivo smembramento in atto da più di 10 anni*. E se, invece, questa visione così bacchettona nei confronti dei nuovi consumatori Orientali fosse piuttosto solo un alibi per celare un velenoso risentimento causato dal fatto di vedere sfumare il nostro diritto di accesso “per nascita” a quel luminoso mercato del superfluo che da decenni ci lusinga con i suoi inviti all’acquisto?
Dieci anni fa le persone cambiavano il proprio guardaroba primaverile con quello invernale: ora è obsoleto. Può essere che la moda stia inesorabilmente diventando inaccessibile per gli Occidentali? Occidentali annientati nella loro produttività, nei loro diritti, nella loro salute e sempre più propensi alla rinuncia come rimedio necessario a tutti i mali?
Mentre in Cina, che si ricordi essere il più grande e competitivo produttore mondiale di prodotti sanitari, l’economia decolla verso orizzonti radiosi, nel resto del mondo (ex)”agiato” un esercito di nuovi-poveri– liberamente prigionieri- sperimenta il feroce presentimento di essere scivolato in un regime pseudo-assistenzialista fatto di miserevoli, saltuari, rimbecchi monetari che gettano in un’angosciante impotenza la maggior parte delle persone. E mentre la proletarizzazione avanza, si sperimenta anche l’implodere della famosa era della “democratizzazione della moda” o del “lusso democratico”. Il sopraggiungere del fenomeno Lidl Moda in Italia il prossimo 16 novembre, che forte del suo delirante successo registrato in tutta Europa, si appresta a mietere altrettanti fan anche su territorio nostrano, ci suggerisce un indizio alquanto inequivocabile: il pauperismo Occidentale è appena iniziato, sarebbe più nobile chiamarlo con il suo nome, senza vergogna, senza inutili eufemismi, imbarazzi o giustificazioni.
*Secondo un’indagine elaborata dal Sole24Ore, sarebbero 12,2 milioni di italiani, con un reddito da 15 a 26mila euro, ad aver perduto il 10,4% in potere d’acquisto nell’ultimo decennio, una riduzione di 2.350 euro all’anno su ogni reddito.
*https://www.refinery29.com/en-us/2020/10/10014753/thrifting-gen-z-thrift-shopping-trend
Ciao Elisa,
Sei sempre “uber alles”. E hai sempre ragione, su tutta la linea. La moda nn è’ più di moda
Sara ❤️