Bottega Veneta non è snob, precorre i tempi
Bottega Veneta ha lasciato Instagram, Facebook e Twitter. Non si sa se sia un’operazione definitiva, ma anche sul sito non vi è più traccia delle icone social. Dopo mesi piuttosto silenziosi la presentazione della collezione estiva (registrata il 9 ottobre) è stata mandata in onda il 14 dicembre, una sorta di happening in cui erano visibili solo un pugno di invitati sparpagliati in uno studio vuoto cosparso di luce verde, colore firma del nuovo corso del designer Lee. Un appuntamento nel vuoto, che ha fatto dell’assenza di programmazione e clamore il suo punto di forza. Pur tenendo presente questo indizio, l’abbandono dei social da parte della casa di moda ha lasciato la maggior parte degli utenti esterrefatti. Mentre specialisti e strateghi del marketing non sanno motivare una scelta così blasfema e i follower piangono questa decisione, io mi chiedo, piuttosto, per quale motivo un marchio così popolare e con ambizioni esclusive sarebbe dovuto rimanere sui social media.
Qualche mese fa leggevo un articolo riguardante le soluzioni e le strategie più riuscite attuate dai brand in questo ultimo anno di pandemia. Di fronte ad un ampio riconoscimento dell’importanza di innovare i servizi digitali in funzione di un’assistenza al cliente sempre più personalizzata, veniva osservato come molti direttori della comunicazione stessero cadendo in grave errore: quello di fare troppo affidamento ai social network, dimenticandosi di esistere INDIPENDENTEMENTE da questi. Pur considerando queste applicazioni come fattori importanti, in particolare per i più giovani -Gen Z- , il pericolo più comune riscontrato dagli esperti era che quest’attenzione ai social stesse progressivamente facendo perdere di vista agli addetti ai lavori l’importanza di investire sui propri servizi, sul proprio sito, in una parola: sul proprio marchio in quanto tale e indipendente rispetto a tutto il resto.
Bottega Veneta abbandona i social, ma perché?
Queste le mie ipotesi.
Bottega Veneta non ha bisogno dei social, in primis perché i social parlano già di Bottega Veneta e pure molto, forse, persino troppo. Il brand in soli 3 anni ha modernizzato il suo heritage travolgendo il mercato e diventando uno dei marchi più desiderati e più indossati da insider e non, eppure, questo picco di visibilità potrebbe non confarsi ad un marchio che pretende di conservare il suo fascino di casa di moda per intenditori e cultori di un lusso discreto e colto. Se si considerano poi i costanti disservizi delle piattaforme, la saturazione dei contenuti e l‘inaffidabilità dei dati statistici organici con conseguente pressione per l’investimento in contenuti sponsorizzati, appare chiaro ed inevitabile un repentino cambiamento di strategia.
Una seconda buona motivazione per abbandonare i social da parte di Bottega Veneta si può far risalire ad un nuovo modo di pensare la comunicazione: sia che il marchio riprenda una strada più tradizionale affidandosi alla carta stampata, al product placement in serie tv e film o alle affissioni (basta vedere il successo riscosso dal ritorno all’uso dei manifesti negli ultimi anni per capire che la gente ha voglia di fare qualcosa con le pubblicità, più che di subirle in un loop indifferenziato su Instagram), sia che punti ad installazioni-evento, dovremmo tutti considerare che il mondo è sempre stato in costante evoluzione, ma nell’ultimo anno questo processo ha subito un’accelerazione inaudita, o sarebbe meglio parlare di un RESET totale, rendendo invalide anche le convenzioni ritenute più inviolabili. In questo “nuovo mondo” il passato più recente appare trapassato e i comportamenti considerati come abitudini, diventano obsoleti. Con questi presupposti viene da domandarsi, piuttosto, perché tutto questo sconvolgimento non dovrebbe riguardare anche il modo di utilizzare i social network da parte di editori, investitori e utenti.
E poi c’è il punto di vista di Daniel Lee, rigorosamente anti-social come la mentore Phoebe Philo
“È stato bello crescere nell’era pre-Instagram: ci divertivamo molto. Sarà interessante vedere cosa accadrà in futuro. Io credo che ci sarà un ritorno alla privacy. Lo spero davvero.”
( Vogue Uk intervista 2019)
Céline -con l’accento- fu uno tra gli ultimi marchi di lusso a concedersi con riluttanza ai social network, a quei tempi era la schiva Phoebe Philo a condurre la Maison nota al grande pubblico solo “post mortem”, ovvero, solo dopo l’allontanamento della stessa dalla sua direzione creativa in favore di Hedi Slimane. Prima della separazione, nessuna mitologia social era mai fiorita intorno al nome di un designer di abiti e accessori austeri e scarni, con loghi appena appena visibili, in grado di scatenare poi, oltre alla mania per la rincorsa ai pezzi #oldCéline, un vero e proprio scontro tra puristi del marchio (nostalgici “PhoebePhilosophy”) e fedeli al nuovo corso, incarnato da Slimane.
Non è dato sapere da quanto la mossa di lasciare i social ai nemici fosse stata meditata e quanto possano avere influito le preferenze di Daniel Lee, allevato per sei anni a pane e discrezione durante l’ incarico di design director del prêt-à–porter presso Maison -old- Céline. Lee ha 35 anni, quindi, è giovane abbastanza per comprendere le dinamiche dei nuovi social media e vecchio quanto basta per poter rimpiangere l’era analogica, ma soprattutto non ha paura di osare.
Il creativo, infatti, ha già dimostrato di essere avvezzo a sbaragliare la concorrenza con intuizioni audaci: basta ripensare a The Pouch. Da un giorno all’altro il mercato dormiente della pelletteria di lusso è stato scosso dall’ossessione per un accessorio coraggioso, un feticcio tanto burroso e femmineo all’apparenza, quanto scomodo e piuttosto difficile da indossare, almeno stando ai parametri contemporanei allineati ad uno stile di vita facente dell’agilità la regola. L’iconica The Pouch, infatti, soffice scrigno di medie dimensioni, in vera controtendenza con le proposte, tornava a impegnare la mano, proprio una di quelle mani che con l’intensivo utilizzo delle tracolle, le donne non sembravano più disposte a barattare in cambio di un po’ di glamour.
Da quel momento in avanti si è perso il conto di tutti i post e repost taggati Bottega Veneta, come delle imitazioni e degli account nati per praticare il culto del #NewBottega. Oggi, nonostante la crisi pandemica, la casa di moda del gruppo Kering continua a tappezzare i feed Instagram con amuleti trapuntanti e catene d’oro massiccio, ma non solo: è anche l’unico brand di lusso ad essere riuscito in un clamoroso incremento delle vendite.
Oggi Bottega Veneta riparte dal silenzio, un silenzio che, a mio parere, attiverà ancora più desiderio.
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