Met Gala 2021. Un’orgia di disgusto.
Il diario dei vivi e dei morti si è aperto su uno degli eventi più osceni dell’epoca contemporanea. Il Met Gala dello scorso 13 settembre, in concomitanza del riavvio di un canonico tour di moda – apparentemente inderogabile – , si è rivelato essere la più clamorosa, tragica dimostrazione del legame, ormai, non più celato, tra moda e prostituzione.
Prostituzione intesa come barbara riproduzione meccanica di atti scrupolosamente devitalizzati di spiritualità ed emozione. Moda come perversione e stupro del simbolico. Prostituzione come devianza estetica, morale, etica e valoriale. Moda come astensione e rifiuto contemplativo. Prostituzione come perdizione senza redenzione.
La prostituzione del pensiero ha, finalmente, trovato le sue adeguate vestimenta: eccola la moda cadaverica per corpi inorganici e anime in saldo. Ecco gli araldi del disgusto in tutta la loro più squallida magnificenza. La moda è morta, viva la moda. Non c’è più niente da guardare.
A partire da un mondo inteso come luogo consacrato unicamente allo scambio di merci e simulacro di rapporti umani, già Benjamin, rifacendosi a Baudelaire, aveva ravvisato una parentela piuttosto evidente tra prostituzione e moda, ma solo oggi, questo legame di sangue, divenuto ancora più prossimo, viene annunciato come miracolo ed imposto come culto.
Il Met Gala ridondante di strascichi e facce sfigurate è stato un baccanale sudicio, macabro e umiliante. Colori violenti e neri lividi hanno solcato il tappeto rosso insieme ai loro supporti di carne, come se non esistesse altra realtà all’infuori di loro.
Emblematica la presenza-assenza della vestale Kim che, in quanto esponente di spicco dell’ordine, scomparendo dietro un misericordioso buio della ragione, ha rimarcato a tutti il concetto di sacrificio necessario celebrando la rinuncia alla propria individualità e alla vita come scelta consapevole e debita.
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