Instagram Facebook e Whatsapp: un mercoledì nero da incubo
Una società fondata e sviluppata unicamente intorno all’apparenza, all’illusione e alla finzione è la panacea dell’ “uomo senza qualità“, ma cosa succede se la macchina che la tiene in piedi si rompe?
Minata la nostra incrollabile fiducia nel sistema tecnologico alterato, il giorno mercoledì 13 marzo 2019 rimarrà ai posteri come quello in cui la comunità intera dovette fare i conti con l’angosciante possibilità di essere soltanto una moltitudine di persone comuni, nonché dipendenti discreti e sostituibili della fantozziana Megaditta Facebook Inc.
Mercoledì 13 è stato un giorno da dimenticare per la famiglia Zuckerberg.
Loro negano la teoria del sabotaggio, non sia mai che l’Impero si mostri vulnerabile di fronte a investitori e azionisti, eppure, qualcosa di strano è successo. Certo, “chissenefrega” dei problemi di Marc – Facebook, noi abbiamo già i nostri, quindi non starò a scomodare i portatori sani di principi esoterici e Kabbalistici, non interrogherò nemmeno gli oracoli e non approfondirò le questioni inerenti la numerologia e il numero 13, anche perché a Fibonacci preferiamo l’Amatriciana, però, un commento sul “mercoledì nero”, mi sento di farlo.
Dato che il blackout è stato globale e democratico, per un giorno l’umanità Social è forzatamente dovuta tornare a fare i conti con l’insignificanza della propria vita.
Il panico era ovunque, la banca dell’immaginario assediata da un nemico senza volto
Da bravi maniaci del controllo, esagitati e schizofrenici abitué della rapidità, sembrava proprio che il destino ci stesse mettendo alla prova misurando la nostra pazienza e umiliandoci ora dopo ora, nella nostra unica, vera dimensione: quella dell’ immane impotenza e della più totale irrilevanza.
Oscurata così per circa 24 ore l’allucinazione gloriosa di una vita da “personaggio pubblico”,
da “star” , da “celeb” il superomismo generalizzato è stato così contestato, messo in discussione da una presenza che avevamo ormai dato per defunta, ma il cui potere potrebbe risultare fatale a molti, qualora riprendesse il controllo delle nostre esistenze: la realtà.
Dal “cogito ergo sum” di Cartesio (1600) che poneva le facoltà intellettive e della ragione come espressioni dell’esistenza dell’individuo nel mondo, all’appaio-pubblico-mi vedono, quindi, sono.
La maledizione che ci affligge è spaventosa, perché dimostra che la coscienza di noi stessi non ci è data per natura, ma deve essere conquistata quotidianamente sulla piazza virtuale, attraverso il compiacimento altrui.
Un compiacimento altrui perlopiù degenere, che come da applicazione di tutti i più terribili regimi di potere silenziosi, predilige il mantenimento della massa in un perenne stato di disattenzione e distrazione dalla verità e dalla realtà.
Meglio così evitare di far emergere personaggi scomodi, soprattutto se talentuosi. Meglio affossare queste minacciose figure e innalzare invece a punti di riferimento gli innocui idioti di turno, che vuoti come zucche di Halloween, si prestino perfettamente all’imitazione da parte dell’imbecille comune, persuadendolo a rimanere nella sua confortevole demenza tentando la generosa, percorribile strada del successo.
Non esiste una sola idea importante di cui la stupidità non abbia saputo servirsi, essa è pronta e versatile e può indossare tutti i vestiti della verità. La verità invece ha un abito solo e una sola strada, ed è sempre in svantaggio.
Robert Musil (L’uomo senza qualità)
Appiattire, banalizzare, evitare, distrarre e aggregare: questo è il Social fondamento.
Aggregare: “Never again alone”
In principio fu il Walkman. Era il 1979. Questo accessorio si sarebbe impegnato nel cullare l’umanità, prima di ogni altro strumento, nella rassicurante certezza di non essere mai più sola. La musica, il mondo interiore, i sogni avrebbero, infatti, creato un involucro protettivo intorno all’uomo della folla.
Ed è proprio questa promessa, ma meglio dire multipla bugia, “di non essere più soli”, di trovare supporto, amicizia, amore restando connessi, l’altro punto forte dei Social Network.
Oggi ci sembra di non poterne fare a meno, perché siamo stati completamente liquefatti in una massa di automi indistinti, privati di individualità e pensiero critico. Questa situazione, quindi, non fa altro che aumentare l’urgenza di partecipazione del soggetto e alla rete e questo gli genera una vera e propria dipendenza emotiva, la più tremenda e letale fra tutte le dipendenze.
Per concludere: quanto è stato spiazzante sperimentare la nostra ordinaria esistenza senza il doping dei Social?
Credo molto, perché il fermo di mercoledì ha dimostrato a tutti quanto possa essere fragile e assurdo pensare di avere legittimazione sociale e successo solo attraverso un meccanismo fasullo di like e follower.
L’altra domanda è: quanto potrà durare ancora questa triviale illusione?
Dai fatti sembra proprio che questo abbacinante delirio collettivo di natura onirica dovrà fare i conti con l’alba della ragione. La realtà sta forzando le barricate dell’ inganno e verrà il giorno in cui nessuno potrà più trattenerla. Non sarà un bel risveglio, almeno non per tutti.
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