Fashion Pact Kering & Co. La moda si dimentica della moda: prima l’ambiente
Manca poco all’inizio delle fashion week PE 2020, eppure, mentre la cartina geografica del glamour tocca siti sempre più distanti dai tradizionali punti cardiali della moda (New York, Londra, Milano, Parigi VS Copenhagen, Tblisi e Budapest) il fashion sembra avere la testa da un’altra parte.
I nuovi trend? No grazie. Prima la sostenibilità
Tra fiamme, morti dal valore incerto, naufragi e uragani, le crisi di governo a giudicare dall’umore dei Twitter-nauti sembrano l’appuntamento più spassoso di questa fine estate, unica assente una vera crisi di coscienza.
E pensare che a distrarre gli ignavi in questo periodo c’era il noto Festival del Cinema di Venezia con il suo red carpet di divi internazionali, che però ,purtroppo, quest’anno giace ferito nell’irrilevanza a causa dell’aggressiva “controprogrammazione” de la 7 e delle sue #maratonementana. Qualche apparizione Hollywoodiana non basta a coprire la piaga purulenta e trasudante di subrette e Instagrammers agghindate con abiti “premium” che puzzano di riso alla cantonese e di jīng jiàng ròu sī (straccetti di carne di maiale in salsa alla pechinese). Ma ci sta tutto, l’atmosfera glamour è roba d’antan, oggi anche la sciatteria è consentita, perché è bene che si sappia: anche Hollywood è in crisi. D’altronde a chi importa più del cinema e dei film quando al mondo interessano solo le serie tv di Netflix?
Una “vera” crisi di coscienza però sembra aver toccato particolarmente i big del fashion system che percependo il voluttuoso profumo degli affari non perdono occasione per fare a gara a chi la spara più grossa.
Una nuova coorte di clienti ricchi, Millennial e Gen Z, che rappresenteranno i quattro quinti dei clienti nei prossimi anni, infatti, afferma di evitare i prodotti con uno sgradevole retroscena in materia di sostenibilità.
(fonte BOF.com)
Così se Bally opta per le spedizioni sull’Everest per raccogliere i rifiuti, Prada diffonde cortometraggi prodotti da National Geographic con lo scopo di promuovere Re-Nylon, l’iniziativa green che sceglie di utilizzare nylon Econyl a partire da materiali e prodotti di scarto. E che dire poi del Fashion Pact?
Fashion Pact: 32 marchi l’hanno firmato, quindi?
Era il 25 agosto quando Biarritz, ridente cittadina di modestissime dimensioni, meta di surfisti e vacanzieri accoglieva il gotha del fashion business in occasione del G7 presieduto da Macron.
Proprio a Biarritz, quindi, dopo che i jet privati e gli aerei della stampa avevano scaricato nell’aria chili di anidride carbonica, le delegazioni internazionali dei più grandi protagonisti della moda per una volta hanno fermato il fuoco e posto le basi per un’alleanza in nome dell’eticità e della sostenibilità.
Tra i firmatari: Adidas, Burberry, Chanel, Gap, H&M, Inditex Ermenegildo Zegna, Giorgio Armani, Prada e Salvatore Ferragamo.
Nella teoria il Fashion Pact punterà a:
- arrestare il riscaldamento globale;
- ripristinare la biodiversità;
- proteggere gli Oceani;
- istituire un comitato esecutivo per la difesa e la salvaguardia delle case puffe dei nostri amici Puffi da Gargamella.
La tensione tra due emisferi apparentemente inconciliabili quali la necessità di vendere sempre più sogni fatti di eccessi e indulgenza e dall’altra parte la rincorsa all’impegno ambientale nel lusso è ancora più evidente rispetto agli altri marchi.
Per ora si procede con lo stilare una lista di buoni propositi, nella pratica, la battaglia green è iniziata
Morale della storia: come verrà gestita la faccenda non si sa, ma è stato un bel momento avere Pinault (Kering) nel ruolo di mattatore, mentre Il rivale Arnault (LVMH) unico grande assente, rosicava a Parigi e sferrava un malefico colpo basso ai nemici sganciando un 10Milioni di euro per l’Amazzonia.
Forse, a ben vedere, i tempi non sono poi ancora così terribili e la vera grande crisi delle coscienze può attendere giorni più intollerabili.
immagini pinterest.com
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