Dismorfia da selfie. Nella vita del postumano, c’è ancora posto per l’essere umano?
Non c’è bisogno di scomodare il gotha degli scienziati più quotati per cogliere le assonanze tra comportamenti ed evoluzioni tecnologiche in atto e fare luce sull’inquietante scenario verso cui si sta marciando sicuri, senza badare agli effetti collaterali che gli stili di vita stanno avendo sull’esistenza e la sopravvivenza della specie umana.
Si può supporre che la mania della dismorfia da selfie sia un ulteriore passaggio verso una progressiva e inevitabile rimozione forzata del “fattore umano” dalle nostre vite?
Dismorfia da selfie: che cosa significa?
Con dismorfia da selfie si intende quella particolare patologia che induce i giovani a ricorrere alla chirurgia estetica per avere una faccia da selfie degna di like. In pratica, ai medici, viene richiesta la modifica dei lineamenti sulla base del risultato che si ha quando si usano i filtri. E il risultato che si ha quando si usano i filtri è un volto riproducibile e standardizzato di un umanoide alla @lilmiquela ben lontano da qualsiasi canone estetico reale.
All’imperfezione che scaldava di unicità l’espressione di un volto, la gente pare preferire l’omologazione, sbarazzandosi così, anche della propria diversità e non in ultimo del proprio Io.
A questo punto pare che il vivere quotidiano e il convivere con se stessi sia divenuto persino più insopportabile della metamorfosi Kafkiana.
Una vita filtrata
L’esistenza mediata dalla tecnologia e la socializzazione interceduta dai Social senza senso etico, stanno creando gravi falle nell’evoluzione umana, a cominciare da un insano sviluppo della personalità. La verità, infatti, è che la tendenza al confronto costante con iperrealtà fittizie, come quelle di Instagram, finiscono con l’indebolire la consapevolezza e la fiducia del singolo nelle proprie capacità cosicché la frustrazione, in certi casi, diventa così alta che a molti individui riesce difficile persino sopportare il proprio Io.
Il fatto che molti giovani non riescano nemmeno più ad accettare il proprio viso senza provare un senso di infinita angoscia, per non dire orrore, è preoccupante soprattutto in quanto manifestazione di una profonda alienazione psicologica (verso loro stessi) e sociale (verso gli altri). In questa situazione, quindi, il disagio non può che crescere, finendo così per rendere incolmabile il loro distacco dalla realtà e dal vero scopo della propria esistenza.
Mai sentito parlare di “disboscamento degli uomini”?
Ma poco importa che la mania di occultamento della propria fisionomia in funzione di un’immagine fittizia, standardizzata e soprattuto irreale, sia l’incipit o epilogo di un capitolo infame della storia, perché questo comportamento ha tutti i tratti per essere analizzato dal punto di vista sociale come parte di un potenziale progetto molto più ampio e inquietante di cui dovremmo tentare perlomeno di essere coscienti: il disboscamento umano.* (cit. Riccardo Staglianò, Al posto tuo).
Si pensi all’Intelligenza Artificiale (l’abilità di un computer di svolgere funzioni e ragionamenti tipici della mente umana in modo del tutto autonomo) incensata da tutti, poiché ottimizza, facilita e razionalizza spese e sprechi aziendali, proprio questa sta già eliminando la creatività nel settore moda e design. Peraltro, il fatto che proprio la creatività, manifestazione artistica semidivina propria dell’uomo venga affidata ai macchinari, mentre, dall’altra parte, si assista ad progressiva e aggressiva disumanizzazione degli ambienti lavorativi ( basti pensare alle richieste di efficienza, rapidità, reperibilità, resistenza alla fatica) dovrebbe dirla lunga su quanto poco fantascientifiche siano le ipotesi riguardanti il disboscamento dell’uomo.
“Togliere l’uomo di mezzo” non significa eliminarlo o ucciderlo,
ma avvelenarlo, depredarlo della sua dignità, del suo pensiero critico, della sua volontà, e soprattutto alienarlo da se stesso, annientandone le sue peculiarità umane. Quando si usa un concetto forte come “disboscamento dell’uomo”, infatti, non ci si deve solo focalizzare sulla sostituzione definitiva della macchina all’uomo, ma, soprattutto, almeno per quel che riguarda la nostra realtà, al peso che la prima ha nella società e al rapporto che di conseguenza si va creando tra uomo-macchina.
L’uomo interiorizza comportamenti automatizzati, mentre le macchine si appropriano di facoltà genuinamente umane.
Oggi che tecnologia e social hanno convinto l’individuo di essere padrone e despota di un mondo formato tascabile, comodo e completamente assoggettato ai suoi comandi, solo pochi personaggi, additati come drammatici, quanto fantasiosi complottisti riescono a scorgere quanto lo scenario odierno, sgombrato di ogni umana, reale e concreta, presenza sia ormai diventato realmente disumano e invivibile, a cominciare dall’insopportabile isolamento a cui tutti sembrano non dare peso, ma da cui comincia il vero annientamento dell’essere umano in quanto tale.
Ci hanno oberato di impegni e ci hanno consigliato di distrarci, ci hanno svuotato di valori e ci hanno riempito di oggetti, eppure, ci manca sempre qualcosa. La progressiva intolleranza e diffidenza verso l’altro è speculare alla più mostruosa e pericolosa intolleranza dell’uomo verso se stesso.
Il fatto che in questa epoca tutti sentano il bisogno di trasmettere immagini ritraenti la propria persona, fa pensare che nessuno in realtà si senta veramente vivo, che nessuno esista, se non nello sguardo altrui mediato da un supporto tecnologico. E così proprio mentre tutti ci mettono la faccia, anche questa ultima traccia di un’umanità è destinata a scomparire.
Per approfondire (V. Transumanesimo)
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