Tutto sta ritornando come prima, la sostenibilità come leva di marketing decreta la fine della “rivoluzione sostenibilità”
I dati dell’ultimo trimestre fanno registrare un rimbalzo significativo del mercato del lusso, specialmente del settore abbigliamento e pelletteria. A trainare questa reboante ripresa ci sono Cina e Usa, tanto da far pensare che, di questo passo, si tornerà agli stessi risultati del 2019 già a fine anno, se va male, nel 2022.
Urrà!…Un momento, ma dove sono i guru della “rivoluzione sostenibilità” ora?
Come si legge sul sito del WWF, secondo le previsioni, la domanda di abbigliamento continuerà a crescere, passando da 62 milioni di tonnellate del 2015 a 102 milioni nel 2030 in barba al tema della sostenibilità nella moda.
Solo un anno fa sembrava che l’industria del fashion di alta gamma contrita e mortificata, dopo aver denunciato pubblicamente la propria cattiva condotta, fosse sul punto di riformare l’intero settore introducendo un codice di comportamento illuminato, responsabile e critico.
Ma cosa succede a un anno di distanza?
“C’è una profonda tensione tra ciò che è buono per il mondo e ciò che è buono per gli azionisti”* (fonte Bof)
Finché la solidità finanziaria delle aziende dipenderà dalla crescita continua delle vendite, la sostenibilità rimarrà solo il pretesto più azzeccato per moltiplicare i guadagni. Come viene ben esposto su Bof troppo spesso il marketing della sostenibilità alimenta il problema, persuadendo i clienti a comprare sempre di più e sollevandoli dai sensi di colpa.
E così, tolto qualche paladino della resistenza accodatosi all’iniziativa di Giorgio Armani, di fatto, non è cambiato nulla.
Quale sostenibilità in un mondo di abitudini insostenibili?
Lo shopping online di “moda straccia” vola e per quanto riguarda il settore lusso tocca ancora subire lo sfoggio di 6 collezioni all’anno per ciascun brand, pur essendo ben consapevoli che di presentazioni ne basterebbero 2, ammesso e concesso che significhino ancora qualcosa.
Perché comunicare la sostenibilità e poi fregarsene?
“Bisogna avere tempo per godere delle cose belle“.
Cruise, Pre-fall e lanci vari ed eventuali, oltre ad essere tutto tranne che sostenibile, questa moda svilisce le sue intenzioni.
Sono eventi di mezzo, con collezioni di mezzo: repliche delle principali linee che vengono sempre un po’ peggio delle originali. In esse di simbolico non rimane niente, solo un logo su cui costruire ogni volta una prodigiosa bugia legata alla vaga promessa di indossare prestigio.
Non è consentito, quindi, sapere che fine abbiano fatto i buoni propositi inerenti la sostenibilità come valore da cui sviluppare un radicale cambiamento di ritmo di vita e consumo, difatti, queste tematiche, sembra non abbiano minimamente intaccato le abitudini di acquisto dei grandi big spender.
Big spender, che confortati dai narcotici, melensi slogan del marketing sostenibile, non ritengono opportuno approfondire l’argomento. Eppure, per trarre le adeguate conclusioni, rimodulando all’istante le proprie abitudini di acquisto, basterebbe solo mettere in fila qualche dato in più per farsi un’idea sulla gravità dell’impatto che il settore ha sul pianeta.
Tra le pecche dell’industria della moda in tema sostenibilità si evidenzia che essa:
- è causa del 20% dello spreco globale d’acqua;
- causa circa il 20% dell’inquinamento idrico industriale;
- le emissioni di gas dagli impianti di produzione tessile rappresentano il 10% delle emissioni globali dei gas serra;
- solo l’1% dei materiali viene riciclato;
- rimane sempre il problema dello smaltimento delle eccedenze ( nel caso del lusso solo il 60% dei vestiti viene venduto a prezzo pieno, tutto il resto dove va?) *
Una sostenibilità ambientale meno teorica e più pratica inizia dall’individuo
Si stima che ogni persona mediamente tenda ad acquistare 20kg di vestiti all’anno, di cui ne vengono usati solo una parte infinitamente esigua, pertanto, non occorrerebbe un master in statistica per capire che il sistema non potrà mai essere cambiato senza una immediata riduzione dei consumi personali.
Si è stati rinchiusi per mesi, e seppure soffocati da tute e leggins, l’umanità è sopravvissuta alla limitazione degli acquisti imposti dal venire meno delle occasioni d’uso.
Si è rimasti tappati nell’incertezza, ma si ha avuto l’occasione per riflettere e giudicare come spettatori silenziosi quello che accadeva intorno e dentro l’essere umano in una situazione del tutto anomala. Si ha avuto il tempo di confrontare il presente con il passato più recente, dapprima rimpiangendolo, poi accorgendosi di quanto sgradevole potesse apparire se osservato in profondità, possibile che la crisi di coscienza non abbia lasciato traccia?
Bio:
https://www.wwf.ch/it/i-nostri-obiettivi/rating-wwf-industria-tessile-e-dellabbigliamento
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